In questa giornata di Ferragosto omaggio il Sole nel segno del Leone e vi propongo la lettura di uno dei capitoli del mio libro: Il Sole – un’interpretazione mito-astrologica in vendita su Amazon.
Panoramica su Apollo dio del Sole nelle opere di Jung
Il Sole è simbolicamente legato al fuoco come espressione di sé e forza creatrice, ma è necessario declinarne i valori simbolici attraverso numerosi significanti più concreti che lo avvicinino al vivere quotidiano come per esempio la parola. La parola comunica, crea emozioni, trasforma. Le emozioni possono modificare il nostro comportamento e quello di chi ci sta vicino o con il quale stiamo comunicando. L’emittente, il Sole-Parola, ha bisogno di un ricevente, la Luna, attraverso la loro dialettica si esplica la vita. Quando il Sole tramonta c’è la luce lunare a illuminare, luce che è parola delle emozioni che reagiscono all’emissione solare. Emissione solare è ciò che cogliamo dall’esterno, sempre attraverso la luce: gli oggetti, la realtà, le persone che anche senza parlare ci emozionano hanno modo di mostrarsi e essere colti attraverso i sensi, affinché ciò avvenga la luce è sempre necessaria, se non vi fosse non li vedremmo. La luce è il principio. La luce lunare è diversa, brilla della luce del Sole, di riflesso, ecco perché emoziona e riceve la parte solare, la Parola. Quando né Luna né Sole brillano in cielo, solo la Parola ci guida, mentre la ascoltiamo; ma la parola proviene o dall’interno, dal nostro sé, o dall’esterno, da qualcun altro o dall’atman, dallo spirito che tutto pervade. Alla fine nulla cambia, che la parola provenga da noi anziché da un altro è sempre l’atman, lo spirito luminoso del fuoco a parlare.
A tal proposito Jung scrive: <<Qui è detto che il fuoco viene dalla parola, e in seguito (1.2.4) è anche detto che è il fuoco a divenire parola. Troviamo un rapporto analogo tra fuoco e voce о parola nella Bṛhad-araṇyakaupaniṣad (3.2.13; 4.3.1 sgg.): “Yajñavalkya”, gli disse, “allorché di questo uomo, una volta che è morto, la voce entra nel fuoco, il praṇa nell’aria, l’occhio nel sole…”… …Allora il re prese la parola per primo al fine di interrogarlo: “O Yajñavalkya, qual lume rischiara questo puruṣa [essere incarnato]?” “La luce del sole, оre”, gli disse: “alla luce del sole, invero, costui dimora, si muove, compie le sue azioni e ritorna a casa.” “È proprio così, о Yajñavalkya. Allorché il sole è tramontato, o Yajñavalkya, qual è la luce che illumina questo puruṣa?” “Per costui vi è la luce lunare; alla luce della luna egli dimora, si muove, compie le sue azioni, torna a casa.” “È proprio così, о Yajñavalkya. Allorché è tramontato il sole ed è tramontata la luna, o Yajñavalkya, quale luce illumina questo essere?” “È la luce del fuoco che lo illumina; è alla luce del fuoco che egli risiede, si muove, compie le sue azioni e ritorna a casa.” “È proprio così, o Yajñavalkya. Allorché il sole è tramontato, la luna è tramontata, il fuoco è spento, о Yajñavalkya, quale luce illumina questo personaggio?” “È la Parola che lo illumina: è essendo illuminato dalla Parola che egli dimora, si muove, compie le sue azioni e torna a casa; questa è la ragione per la quale, о re, quando l’ombra è così fitta che non si distingue neppure la propria mano, se si ode una parola ci si dirige verso questa.” “È proprio così, o Yajñavalkya. Allorché il sole è tramontato, o Yajñavalkya, la luna è pure tramontata, il fuoco è spento, ogni parola tace, quale luce illumina questo personaggio?” “È lo atman [il Sé] che è la sua luce. È alla luce dello atman che egli dimora, si muove, compie le sue azioni e torna a casa.” >>
Bocca, fuoco, sole, parola sono in relazione secondo Jung, che aggiunge inoltre come sia inequivocabile non vedere questa relazione analizzando semanticamente in diverse lingue la loro radice. Appare per altro evidente come anche il fato venga visto un’entità instabile che oscilla, grazia alla radice comune della parola[1] che ricorda l’ondeggiare della fiamma, di conseguenza anche quello del Sole. Il Sole è quindi il fondamento della nostra vita, del nostro fato, del nostro destino. Il Sole è azione, azione è spirito, individuazione. Un’altra correlazione importante è quella che passa con il verbo risuonare, vibrare e la stessa parola Sole. Jung afferma che il linguaggio e l’uso del fuoco sono le caratteristiche che distinguono l’uomo dall’animale. Apollo, divinità protettrice della musica, è quindi in stretta relazione con il risuonare. Esiste un’identità preconscia, io direi archetipica, che accomuna fuoco e parola, questa è rappresentata dalla parola sanscrita “tejas” che possiede numerosi significati. Riporto le parole di Jung “È la parola tejas, che significa: 1. taglio, acutezza, filo (di lama), lama tagliente; 2. fuoco, splendore, scintillio, luce, ardore, calore, caldo; 3. aspetto sano, bellezza; 4. la forza ardente generatrice dei colori nell’organismo umano (localizzata nella bile); 5. forza, energia, forza vitale; 6. veemenza, impetuosità del carattere; 7. forza spirituale e magica; influenza, autorità, credito, dignità; 8. sperma. La parola tejas quindi descrive quello stato psicologico indicato anche dal termine libido. È l’intensità avvertita soggettivamente dei fatti più svariati. Tutto ciò che è fortemente accentuato, quindi tutti i contenuti carichi d’energia, hanno perciò una gamma molto ampia di significati simbolici. Ciò risulta ovvio per il linguaggio, che può esprimere ogni cosa.”. Sono tutti attributi solari quelli che troviamo nella definizione di tejas che accomunano fuoco, parola, con Apollo che fa da mediatore fra entrambi. Nello stesso tempo ci fanno pensare al taglio del filo della vita da parte della Moira, Lachesi, che è sempre un’azione forte, necessaria, preconscia-archetipica. La vita stessa rappresentata dal Sole è parte integrante del disegno universale[2]. Il fuoco del Sole, di Apollo è anche il fuoco sacrificale necessario per ingraziarsi gli dei attraverso i doni arsi attraverso di lui, ma, come ricorda Jung, è un sacrificio che è anche per sé stesso, autocelebrativo: “Il termine sanscrito per fuoco è agnis (latino ignis), personificato nel dio Agni, il mediatore divino , il cui simbolo ha certe affinità con le rappresentazioni cristiane. Un nome iranico del fuoco è nairyosagha = parola maschile (indiano: narasamsa = desiderio degli uomini). Müller dice di Agni: L’idea di concepire il fuoco sull’altare come soggetto e come oggetto a un tempo del sacrificio, era familiare ai Bramani. Il fuoco consumava la vittima ed era quindi una sorta di officiante; il fuoco portava il sacrificio agli dèi, e faceva così da mediatore tra essi e gli uomini. Ma il fuoco rappresentava anche qualcosa di divino, un dio cui si doveva rendere omaggio, e così esso diveniva soggetto e oggetto del sacrificio. Di qui l’idea che Agni sacrifichi sé stesso, che egli offra un sacrificio a sé stesso, e insieme che egli offra sé stesso in sacrificio”.
Il Sole, in un tema natale, per realizzarsi ha bisogno di tutti i pianeti e nel medesimo modo anche questi ultimi vivono all’interno di un ecosistema o unus mundus che è la carta stessa. Il Sole, come mediatore divino, è uno degli elementi fondamentali del tema di nascita, ma non l’unico, rappresenta il nucleo principale del nostro carattere o destino, ma si può manifestare in infiniti modi: il tema natale, nel suo insieme non dipende soltanto da lui, è fuorviante interpretare un tema in ottica interpretativa “Solecentrica”. Come scrive Jung nell’analisi delle opere di Opicino de Canistris: “Sapete che nell’antica astrologia, così come nell’alchimia, il Sole non è che uno dei pianeti, con una posizione certamente importante, ma non predominante. Ovvero, ci sono il Sole, la Luna e la schiera dei pianeti e, in particolare nell’alchimia, il Sole non occupa il posto più importante: infatti, è la coniunctio soli et lunae la cosa più importante. […] Quindi, anche tra i primitivi, il Sole non occupa affatto il primo posto.” Lo psicanalista svizzero procede ancora raccontando come si fosse stupito durante il suo soggiorno in Africa orientale presso gli Elgoni quando scoprì che oltre a onorare il sorgere del Sole, astro che rappresentava ciò che era buono, bello e la volontà, analogamente salutavano il sorgere del primo quarto di luna, ma questi astri per la popolazione locale non erano Dio, ma solo una rappresentazione pre-conscia di qualcosa d’altro[3]. Assume grande importanza, per tale popolazione, il momento del sorgere degli astri, il momento mistico della nascita, poi il loro percorso in cielo li rende poco interessati. Ancor di più, alla luce di quanto raccontato, trovo conferme a quanto scritto in precedenza ovvero che non è soltanto il Sole l’elemento fondamentale su cui debba girare l’interpretazione astrologica. Anche l’importanza del pianeta che sorge, quindi sale in dodicesima casa, deve farci riflettere nel fornire il giusto peso non solo al pianeta appena sotto l’orizzonte, in prima casa.
Nel libro I simboli della trasformazione di Jung leggiamo che: “Il confronto con il Sole c’insegna che […] la dinamica degli dèi è energia psichica; essa è l’elemento mediante il quale l’uomo sente di non estinguersi mai nella continuità della vita”. I rapporti fra i pianeti (aspetti), la loro posizione nello zodiaco, sono fondamentali, quando vengono interpretati dall’astrologo, per fornire slancio e regalare una possibile rilettura della vita al consultante attraverso il racconto delle loro gesta, sempre che il consultante sia pronto ad accoglierli.
Apollo, nel mito, sconfigge Pitone/drago inviato dal padre, Zeus; in questa rilettura junghiana il genitore diviene fonte di paura, a mio avviso superata dalla divinità solare attraverso la vittoria sulla bestia[4].
Jung prosegue affermando che: “Il padre rappresenta il mondo dei precetti e dei divieti morali”. Guardare al Sole in un segno ci fornirà le indicazioni su quali siano i precetti che guidano la nostra essenza, il nostro destino o cosa viviamo come divieto morale che può, qualora diventasse troppo oneroso da sopportare per la nostra personalità, trasformarsi in situazioni bloccanti a livello reale o emotivo. Non è il precetto a bloccare, ma come lo viviamo. Una quadratura o una opposizione di Saturno potrebbero farci sentire sempre e perennemente responsabili perché dobbiamo seguire un divieto, analogamente un aspetto di tensione di Plutone potrebbe farci vivere in uno stato di paura di essere sempre dominati da qualcosa o qualcuno e così via perché si teme di superare il divieto. Il precetto del Sole, il tabù, il divieto morale è quello simbolicamente rappresentato dal simbolo del segno che lo ospita.
Nella dialettica solare e lunare di un tema di nascita possiamo trovare la madre divorante seppure genitrice, così come un padre incline agli eccessi che mette dei divieti al figlio, l’importanza dell’analisi del segno solare, assieme alle altre relazioni del pianeta con gli ulteriori elementi del tema, ci forniscono indicazioni su quale archetipo può inflazionarsi creando problemi al soggetto[5].
Il Sole, Apollo, secondo Jung, rappresenta il principio d’individuazione, l’energia che mette ordine e razionalizza gli istinti: “Su Apollo Nietzsche si esprime con le parole di Schopenhauer: Come in mezzo al mare in tempesta che, aprendosi sconfinato da ogni parte, solleva e sprofonda mugghiando montagne d’acqua, il navigante seduto nella sua barca si affida al suo fragile natante, così in mezzo a un mondo traboccante di angosce, l’uomo singolo rimane tranquillo appoggiandosi e affidandosi al principium individuationis. Nietzsche prosegue: Per certo viene fatto di dire di Apollo che in lui ha trovato la sua più alta espressione l’incrollabile fiducia in quel principio e la serena fermezza di chi si appoggia ad esso: si potrebbe anzi considerare Apollo come la splendida personificazione divina del principium individuationis. L’apollineo è quindi, come Nietzsche lo concepisce, un ripiegarsi su sé stesso, l’introversione.”
Dall’altra parte della barricata c’è Dioniso, Nettuno che: “Per converso, il dionisiaco è per Nietzsche l’erompere incontrollato della libido verso le cose. Così egli dice: Nell’incantesimo dionisiaco non solo si ricostituisce il legame tra uomo e uomo: anche la natura, prima estranea, nemica o soggiogata, celebra la sua festa di riconciliazione con il figlio smarrito, l’uomo.”
Apollo, il Sole, come archetipo non ha una colorazione propria introversa o estroversa, ma nel momento in cui diviene rappresentazione archetipica assume una tonalità o l’altra. Nella frase citata in precedenza, l’apollineo è una rappresentazione archetipica del Sole introversa, in questo caso, perché affiancata, probabilmente, dal filosofo ai concetti saturnini. Qualora fosse stata associata a simbologie nettuniane avremmo avuto, forse, una definizione dionisiaca. Il Sole assorbe, dunque, secondo il segno e la casa in cui si trova, anche i simboli che fioriscono in relazione agli aspetti formati dagli altri pianeti. A conferma del fatto che il Sole è l’identità anche nel caso si tratti di visione apollinea o dionisiaca leggiamo sempre nelle opere complete di Jung che: “[Quando siamo di fronte a un soggetto costellato da Dioniso] …la dynamis creatrice, la libido in forma d’istinto, s’impadronisce dell’individuo come di un oggetto e lo adopera come strumento o espressione. Se è lecito considerare l’essere naturale come un’“opera d’arte”, allora l’uomo nello stato dionisiaco diventa davvero un’opera d’arte, fattasi a sua volta naturale; ma proprio in quanto l’essere naturale non è affatto un’opera d’arte nel senso che si è soliti attribuire a quest’espressione, esso non è altro che pura natura, sfrenato, sotto ogni aspetto un vero torrente in tempesta, e non è nemmeno un animale che si mantenga nei suoi limiti naturali.”
Apollo e Dioniso non possono convivere contemporaneamente perché sono due facce della stessa medaglia, si annichilirebbero, infatti Jung scrive esplicitamente: “la riconciliazione di Apollo con Dioniso sarebbe dunque qualcosa di bello anche se irreale,”
Partendo da queste considerazioni lo psichiatra svizzero ricorda che: “Un altro termine di riscontro al nostro problema è la contrapposizione vista da Nietzsche tra apollineo e dionisiaco. È interessante la similitudine alla quale egli ricorre per caratterizzare questa antitesi. Per lui queste due entità contrastanti stanno l’una di fronte all’altra come sogno ed ebbrezza. Il sogno è tra tutte le esperienze psichiche la più profondamente vissuta, l’ebbrezza è l’aspirazione verso la totalità degli oggetti nella più totale dimenticanza di sé e liberazione da sé stessi”.
Il sogno e l’ebbrezza sono due manifestazioni possibili dell’animo umano o del modo in cui l’uomo si relaziona con il mondo, come nel caso dei concetti relativi ai tipi psicologici di introverso ed estroverso; il Sole, Apollo, può essere uno o l’altro e lo cogliamo dalla posizione dell’astro nel tema natale e dalla sua interpretazione. Dobbiamo tenere a mente questo modo di leggere il tema per coglierne le sfumature, è un Sole estroverso o introverso?[6] Anche se la posizione per segno può fornirci indicazioni, questa non è sufficiente, ma ha di certo un gran peso.
È importante evidenziare che Poseidone decise di erigere l’isola di Delo, in cui nacque Apollo, su quattro pilastri emersi dalle acque. Simbolicamente, in questo modo, la divinità era posta sui quattro elementi (aria, acqua, terra, fuoco) come se dovesse in qualche modo esserne una loro manifestazione.
[1] L’associazione, strana a prima vista, di bocca, fuoco e parola si riscontra anche nel nostro linguaggio odierno: le parole sono “infiammanti” e “ardenti”. Nel linguaggio del Vecchio Testamento ricorre spesso l’associazione di bocca e fuoco. Per esempio: 2 Samuele, 29.9: “Un fumo saliva dalle sue nari; un fuoco consumante gli usciva dalla bocca.” Isaia 30.27: “Il nome del Signore… le sue labbra son piene d’indignazione, la sua lingua è come fuoco divorante.” Salmo 29.7: “La voce dell’Eterno fa guizzare fiamme di fuoco.” Geremia 23.29: “La mia parola non è essa come il fuoco?” Nell’Apocalisse 11.5 “dalla bocca dei due testimoni esce il fuoco.” Di continuo il fuoco viene chiamato “divorante”, “consumante”, con riferimento alla funzione della bocca; si veda Isaia 9.19: “Per l’ira del Signore degli eserciti il paese è in fiamme, e il popolo è in preda al fuoco.” (Vedi anche Ezechiele 15.4.) Un buon esempio si trova negli Atti degli Apostoli 2.3 e 4: “E apparvero loro delle lingue [glossai] come di fuoco che si dividevano… E tutti furon ripieni dello Spirito Santo, e cominciarono a parlare in altre lingue (glossais).” La glossa di fuoco provoca negli apostoli la glossolalia. In senso negativo la lettera di Giacomo 3.6 dice: “Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità. Posta com’è tra le nostre membra, contamina tutto il corpo e infiamma la ruota della vita, ed è infiammata dalla geenna.” Similmente è detto del malvagio nei Proverbi 16.27: “Sulle sue labbra c’è come un fuoco divorante.” Anche i draghi, i cavalli (Apocalisse 9.17) e il Leviathan (Giobbe 41.10) sputano fuoco. Il nesso della bocca con la favella e il fuoco è inequivocabile.”
[2] Un altro fatto da considerare è che i dizionari etimologici associano il radicale indoeuropeo bha con il significato di “splendere, rilucere, brillare”. Questa radice si trova nel greco φάω, φαίνω, φάος; nell’antico irlandese ban = bianco; nel nuovo alto tedesco bohnen = lustrare, rendere lucido, brillante. Ma il radicale dello stesso suono *bha significa anche “parlare”; si trova nel sanscrito bhan = parlare; nell’armeno ban = parola; nel nuovo alto tedesco Bann, bannen = bando, scomunica, potere magico, esorcizzare; nel greco φα-μί, ἔφαν, φάτις; nel latino fa-ri, fatum. La radice la con il significato di “risonare, abbaiare, si trova nel sanscrito las lásati = risonare, echeggiare; e in las lásati = irradiare, rilucere, splendere. Una fusione arcaica analoga di significati pare si riscontri in quella categoria di parole egizie che derivano dalle due radici della stessa famiglia ben e bel, raddoppiate in benben e belbel. Il significato originario di queste parole è “gettar fuori, uscire, gonfiare, sgorgare” (con il concetto secondario di scaturire gorgogliando, ribollire, e rotondità). Belbel, accompagnato dal segno dell’obelisco, significa sorgente di luce. L’obelisco aveva come nome oltre a teshenu e men, benben, più raramente anche berber e belbel.230 Il radicale indoeuropeo *vel con il significato di “fluttuare, ondeggiare” (detto del fuoco) si trova nel sanscrito ulunka = incendio; greco Fαλέα attico ἀλέα = calore del sole; gotico vulan = ondeggiare; antico alto tedesco e medio e alto tedesco Walm = calore ardente, ardore. La radice apparentata indoeuropea *vélkô con il significato di “risplendere, essere infocato” si trova nel sanscrito ulka = tizzone; greco Fελγᾶνος = Vulcano. Ora lo stesso radicale *vel significa anche “risonare”; in sanscrito vaní = risonare continuamente, canto, musica; ceco v olati = chiamare. Il radicale *svéno = suoni, tuoni si trova nel sanscrito svan, svánati = rumoreggiare, sonare; avestico qanañt; latino sonare; antico i r a n i c o semn, gallese sain; latino sonus; anglosassone svinsian = risonare. Il radicale apparentato *svénos = rumore, risonare continuo si trova nel vedico svánas = rumore; latino sonor, sonorus. Un altro radicale apparentato è *svonós = suono, rumore; antico iranico son = parola. Il radicale *své(n), locativo *svéni, dativo *sunéi, significa “sole”; avestico qeng = sole (cfr. più sopra *svéno, avestico qanañt); gotico sun-na, sunnô.231 Quantunque le stelle vengano percepite solo attraverso la luce che esse emanano, si parla di armonia e di musiche delle sfere, come già fece Pitagora. Lo stesso concetto si trova nei versi di Goethe del “Prologo in cielo” (Faust, pt. 1): Nell’emulo coro delle sfere sorelle Il Sole canta l’eterna sua canzone, Mentre ratto come folgore Percorre l’orbita che gli fu tracciata. E ancora (Faust, pt. 2): Ascoltate il rombo delle ore! Sonoramente per l’intimo orecchio dell’anima Nasce il nuovo giorno. Porte si spalancano nelle rocce stridendo, Rombando corrono le ruote di Febo; Qual clamore reca la luce! Rullar di tamburi, squillare di trombe, L’occhio ammicca, stupisce l’orecchio, Suoni smisurati non sa percepire. Per trovare il silenzio Cacciatevi in fondo alle corolle dei fiori Sotto le rocce, dentro il fogliame. Se il fragore vi coglie perderete l’udito! E non dimentichiamo i versi di Hölderlin (Tramonto): Dove sei? La mia anima rimane come trasognata, ebbra, Estasiata di te. Pure non è un sogno, Ho ascoltato, e come traboccante di aurei concenti, L’incantevole efebo solare Trae dalla lira celeste le armonie del suo canto vespertino; E tutt’intorno risuonavano echeggiando i boschi e le colline… Queste immagini rinviano al dio solare Apollo, cui la lira conferisce l’attributo di musicista. La fusione dei significati espressi da “risonare, parlare, splendere, fuoco” si traduce perfino quasi fisiologicamente nel fenomeno della audition colorée, vale a dire la percezione della qualità tonale dei colori e della qualità cromatica dei suoni. Dinanzi a questa connessione si è dunque tratti a pensare all’esistenza di un’identità preconscia tra essi. In altri termini, nonostante la loro completa diversità, i due fenomeni hanno qualcosa in comune. Non si tratta probabilmente di un puro caso se le due scoperte più importanti che distinguono l’uomo da tutti gli altri esseri viventi, cioè il linguaggio e l’uso del fuoco, abbiano uno sfondo psichico comune. Entrambi sono prodotti dell’energia psichica, della libido о mana, per valerci di una concezione primitiva. Esiste un termine in sanscrito che designa in tutta la sua estensione lo stato preconscio al quale accennavamo. È la parola tejas, che significa:232 1. taglio, acutezza, filo (di lama), lama tagliente; 2. fuoco, splendore, scintillio, luce, ardore, calore, caldo; 3. aspetto sano, bellezza; 4. la forza ardente generatrice dei colori nell’organismo umano (localizzata nella bile); 5. forza, energia, forza vitale; 6. veemenza, impetuosità del carattere; 7. forza spirituale e magica; influenza, autorità, credito, dignità; 8. sperma. La parola tejas quindi descrive quello stato psicologico indicato anche dal termine libido. È l’intensità avvertita soggettivamente dei fatti più svariati. Tutto ciò che è fortemente accentuato, quindi tutti i contenuti carichi d’energia, hanno perciò una gamma molto ampia di significati simbolici. Ciò risulta ovvio per il linguaggio, che può esprimere ogni cosa. Ma non sarà superfluo dire qualcosa a proposito del simbolismo del fuoco. Il termine sanscrito per fuoco è agnis (latino ignis),233 personificato nel dio Agni, il mediatore divino (tav. XIIIb), il cui simbolo ha certe affinità con le rappresentazioni cristiane. Un nome iranico del fuoco è nairyosagha = parola maschile (indiano: narasamsa = desiderio degli uomini).234 Müller dice di Agni:235 L’idea di concepire il fuoco sull’altare come soggetto e come oggetto a un tempo del sacrificio, era familiare ai Bramani. Il fuoco consumava la vittima ed era quindi una sorta di officiante; il fuoco portava il sacrificio agli dèi, e faceva così da mediatore tra essi e gli uomini. Ma il fuoco rappresentava anche qualcosa di divino, un dio cui si doveva rendere omaggio, e così esso diveniva soggetto e oggetto del sacrificio. Di qui l’idea che Agni sacrifichi sé stesso, che egli offra un sacrificio a sé stesso, e insieme che egli offra sé stesso in sacrificio. La rassomiglianza con il simbolo cristiano è palese. Kṛṣṇa esprime la stessa idea nel libro quarto del Bhagavadgita: Tutto è dunque dio! Del sacrificio il Brahman è il processo; il Brahman l’offerta; Nel fuoco è il Brahman; il Brahman sacrifica pure: E il Brahman raggiunge colui che su ’l Brahman la mente Raccoglie e medita. Diversa concezione del messaggero divino e del mediatore ha certamente la saggia Diotima nel Simposio di Platone (202d-e, 203d-e).
[4] Significato analogo ha la roccia avvolta da un serpente, giacché Mithra (ed anche Men) nacque da una roccia. La minaccia per i neonati costituita dal serpente (Mithra, Apollo, Ercole) si spiega con la leggenda di Lilith e di Lamia. Pitone, il drago di Leto, e Poine, che devastò il paese di Crotopo, furono inviati dal padre del neonato: questo fatto addita il padre come causa della paura…
[5] Il paradosso consiste nel fatto che, al pari della madre che dà la vita e poi la riprende come madre “terrificante” o “divorante”, anche il padre vive apparentemente una vita di sfrenata istintualità, eppure è l’incarnazione vivente della legge che ostacola gli istinti. La sottile ma sostanziale distinzione sta nel fatto che il padre non commette incesto, mentre il figlio vi si mostra incline. Contro di lui si leva la legge paterna con la veemenza e la brutalità dell’istinto non trattenuto da remora alcuna.
[6] Secondo Finck ci sono due tipi principali di sintassi. Uno generalizza i verbi transitivi. Esso dice: io lo vedo, io lo uccido ecc. L’altro generalizza i verbi intransitivi e dice: egli mi appare, egli svanisce per me ecc. Com’è evidente, il primo tipo contiene un movimento della libido che parte dal soggetto, e quindi è centrifugo, il secondo un movimento della libido che parte dall’oggetto, e quindi è centripeto. Il tipo introverso si riscontra particolarmente nelle lingue primitive degli Eschimesi. I due tipi sono stati descritti in psichiatria e precisamente ad opera di Otto Gross (1902). Egli distingue due forme di minorazione: un tipo con coscienza appiattita ed estesa, e un tipo con coscienza ristretta e approfondita. Il primo tipo è caratterizzato da una funzione secondaria ridotta, il secondo da una funzione secondaria accentuata. Gross ha rilevato che la funzione secondaria sta in intimo rapporto con la tonalità affettiva; dal che è facile dedurre che anche in questo caso si tratta dei due tipi dianzi descritti. Il paragone che Gross stabilisce fra il tipo maniaco e il tipo con coscienza appiattita, ci consente di riconoscere che in questo caso si tratta del tipo estroverso; il parallelo fra il tipo con coscienza ristretta e la psicologia dei paranoidi dimostra l’identità con il tipo introverso.