INTRODUZIONE

Mi sono avvicinato allo studio dell’Astrologia quando avevo 16 anni, ora ne ho 41 e il mio punto di vista, come è giusto che sia è totalmente mutato.

Inizialmente ritenevo che lo studio del tema natale, dei transiti, delle progressioni, delle rivoluzioni potessero condurre alla certezza della previsione, a prevedere cosa mi/ti accadrà; devo dire che c’imbroccavo abbastanza bene, ma se l’astrologia funzionasse davvero avrebbe dovuto, nella mia testa, con certezza quasi scientifica, prevedere sempre in maniera corretta. Ciò non è mai accaduto, dunque qualcosa non funzionava o in me, magari ero troppo scarso come astrologo, o in effetti il futuro non poteva essere previsto. Ovviamente gli studi superiori mi hanno portato competenze in settori diversi umanistici e scientifici che hanno trasformato il mio punto di vista non solo sull’Astrologia.

Ho studiato l’Astrologia finanziaria, la relazione fra movimenti planetari e prezzi dei mercati, delle borse, delle azioni, riscontrando nella materia degli astri strumenti e metodi utili per fornire indicazioni previsionali, non previsioni certe e/o verità. Ho approfondito la filosofia e la psicologia analitica di Jung cercando di comprendere la relazione che passa tra gli Archetipi, i Simboli, la Mitologia e l’Astrologia. Sono rimasto affascinato da questo mondo che, devo dire, mi ha arricchito, fornito nuovi approcci interpretativi mettendo da parte la smania per la previsione degli eventi, portando alla luce una convinzione personale: l’uomo è libero, sceglie in libertà, modifica la realtà a proprio piacimento con le scelte che compie ogni giorno e che ha compiuto in passato.

L’Astrologia afferma che passaggi planetari del passato che hanno trovato riscontro in eventi concreti o dal punto di vista psichico o reale, quando si ripetono in maniera analoga nel futuro forniscono una possibile interpretazione di ciò che potrebbe accadere. Su questo posso convenire perché il tempo è un frattale che si ripete, corsi e ricorsi storici scriveva G. B. Vico, ma ciò che possiamo davvero cogliere del futuro sono le possibili energie in gioco non l’accadimento,  comprendiamo l’archetipo, ma non la sua rappresentazione archetipica. Non dobbiamo dimenticare che, in qualche modo, l’azione è stata compiuta nel passato da noi, restiamo comunque noi gli artefici. E’ anche vero che alcune cose accadono indipendentemente dal nostro volere, ma sono quelle che riguardano la vita di altri. Se, ad esempio, un nostro caro viene a mancare non possiamo di certo essere noi i colpevoli, ma questo fatto se ha un impatto emotivo vorrà dire che avrà lasciato una traccia in un tempo (data dell’evento) ben definito che diventerà un  “dato”  tramite il quale interpretare il tema natale del soggetto assieme ad altre tecniche (transiti, progressioni, ecc..), non di certo per prevedere altre morti, ma per comprendere quando gli astri, in qualche modo, formeranno figure analoghe nel futuro, fornendo così indicazioni rispetto agli archetipi che saranno attivi. Dunque gli eventi accadono anche indipendentemente da noi, dalle nostre scelte, ma sono per lo più quegli eventi per i quali noi non siamo artefici in alcun modo. Ci sono, invece, eventi dei quali noi siamo artefici. Quando noi pensiamo, abbiamo delle convinzioni rispetto al mondo, naturalmente e inconsapevolmente agiamo rispetto a queste convinzioni, di fatto costruiamo il nostro mondo a prescindere dal moto degli astri. Nel momento in cui le nostre azioni diventano importanti, hanno un peso, per noi e/o per gli altri (altri ci comunicano che hanno “subito” la nostra azione), allora è importante “fermare il tempo”, per capire cosa c’è che simbolicamente potrebbe spiegare l’accadimento (transiti, progressioni, ecc…). Potete star sicuri che qualcosa si trova di certo perché l’uomo è fatto per “Interpretare” (Beaudelaire Corrispondenze: E’ un tempio la Natura ove viventi pilastri a volte confuse parole mandano fuori; l’ attraversa l’uomo tra foreste di simboli dagli occhi familiari.) questa traccia, scoperta, diventa una pietra miliare per poter declinare in futuro altre interpretazioni quando il movimento degli astri sarà identico o simbolicamente analogo.

Sinteticamente ciò che desidero affermare è che: il pensiero e di conseguenza le azioni, nella realtà producono un effetto. Questo effetto diventa la base per un’eventuale interpretazione astrologica che porterà a fare congetture sul futuro del soggetto. Tutti i manuali astrologici (indipendentemente dalle scuole di appartenenza) sono frutto di “casi” studiati e interpretati attraverso la deduzione dalla realtà, ma della realtà di singoli individui diversi uno dall’altro, dunque, non “accumulabili” come statistiche. Si perde, spesso, il valore del simbolo che c’è dietro l’interpretazione per piegare quest’ultima alla realtà. Secondo me è opportuno che si parta davvero dallo studio del singolo soggetto, dei suoi accadimenti, del suo vissuto, per poter essergli utile, per potergli imbastire un abito davvero su misura nel momento in cui chiede l’aiuto di un Astrologo, ma analogamente che può essere libero di rifiutare perché sempre di una nostra interpretazione si tratta.

L’Astrologia, come cercherò di spiegare più avanti, deve diventare uno strumento, a mio avviso, per motivare all’azione consapevole e non per subire “gli astri” o chi l’interpreta.

 


PERCHE’ FUNZIONA L’ASTROLOGIA?

L’IMPORTANZA DELLA RELAZIONE

Riporto un passo di una ricerca dell’American Psycological Association che parla di Psicoterapia

7) I risultati della psicoterapia sono stabili nel tempo?” (http://www.psychomedia.it/spr-it/artdoc/migone96.htm)

Analogamente, riguardo ai fattori “aspecifici”, si fa riferimento alla ipotesi di Frank (1961), il quale sostenne che se tutte le psicoterapie funzionano pur essendo diverse tra loro, evidentemente l’agente terapeutico deve risiedere proprio nei fattori comuni a tutte, e individuò questi fattori in determinate condizioni del setting e del rapporto terapeutico che servirebbero a inquadrare i problemi del paziente all’interno di una cornice esplicativa convincente, a “sollevare il morale” del paziente cosicché verrebbe innescata una catena di reazioni verso il cambiamento, e così via. Frank ad esempio ha identificato quattro elementi fondamentali “aspecifici” condivisi da tutte le psicoterapie (vedi Parloff, 1985, pp. 25-28):

I terapeuti offrono uno speciale tipo di rapporto: essi mostrano interesse per il benessere del paziente, ed incoraggiano la formazione di una relazione emotiva di fiducia e di comunicazione.

L’ambiente (setting) della terapia è molto particolare: si fa in modo di creare nello studio o nell’istituzione psicoterapeutica un’atmosfera che incoraggi i pazienti a credere che essi sono in un luogo sicuro – un santuario – che è “sorvegliato da un tollerante protettore”.

Il terapeuta fornisce una schema concettuale: al paziente viene proposta una spiegazione per i suoi “irrazionali o sconcertanti comportamenti e stati soggettivi”, e viene detto come la terapia risolverà i suoi problemi. Le formulazioni devono essere convincenti per il paziente, cioè devono essere inserite nella “cosmologia dominante della sua cultura”. La accettabilità di queste formulazioni è rinforzata dalla copertura scientifica o religiosa.

La terapia fornisce la prescrizione di un insieme di procedure basate sullo schema concettuale. Queste procedure costituiscono il veicolo e la giustificazione per il mantenimento del rapporto terapeutico. Le tecniche possono fornire al paziente una ulteriore prova della cultura e della competenza del terapeuta. Le tecniche dotate di un notevole impatto o che producono effetti drammatici, come certe alterazioni dello stato soggettivo o di coscienza, sono particolarmente utili per la loro funzione di sollevare il morale del paziente.

E’ ovvio che se i fattori “aspecifici” fossero i veri fattori terapeutici, essi diventerebbero automaticamente “specifici”, mentre quei fattori che molte psicoterapie ritengono specifici (cioè gli aspetti “tecnologici” dell’intervento, come ad esempio la interpretazione per la psicoanalisi, il decondizionamento per la terapia comportamentale, la modificazione delle credenze patogene per la terapia cognitiva, ecc.) diventerebbero automaticamente fattori “aspecifici”, una sorta di “razionalizzazione” della psicoterapia vera e propria. La risposta a questi problemi può venire solo dalle ricerche sul processo, isolando le singole variabili (o costellazioni di variabili) e studiandone l’efficacia relativa.

Un’altra critica frequentemente mossa è che le prove emerse dalle ricerche non sarebbero sufficienti per fare generalizzazioni radicali, e questo per due motivi principali. Secondo il primo motivo sarebbe prematuro sottoporre la psicoterapia a un rigoroso metodo di ricerca, in quanto troppo complessa. Da una parte alcuni sostengono che non è possibile applicare alla psicoterapia i metodi delle scienze naturali, in quanto la psicoterapia sarebbe una disciplina idiografica (unica, irripetibile – si veda però a questo proposito la critica di Holt [1962] alla dicotomia nomotetico-idiografico); dall’altra vi sono coloro che svalutano la ricerca sul risultato, perché totalmente inutile in quanto non si sa perché e come funziona (non si conosce cioè il processo). Propongono quindi rigorose ricerche sul processo, anzi sui microprocessi, allo scopo di formulare microteorie del processo per cogliere il dato nel modo più preciso possibile. Ma, come osserva Parloff (1985, pp. 30-31), la strategia di separare nettamente la ricerca sul processo da quella sul risultato si rivela anch’essa di poca utilità. Inoltre esistono ostacoli formidabili nella ricerca sul processo: l’”effetto Rashomon”, per esempio, secondo il quale un singolo evento a volte viene percepito molto diversamente dal terapeuta, dal paziente e dal ricercatore, per cui non si sa bene in cosa consista l’obiettività del dato (il termine Rashomon deriva dal famoso film di Kurosawa del 1951). Questo problema (che per la verità è legato a tematiche ben più complesse, come la crisi del positivismo ottocentesco) è stato sempre tenuto presente dalla psicoanalisi, soprattutto dalla tradizione della psicoanalisi interpersonale, dove si sa che ogni evento viene comunque vissuto (o “costruito”) transferalmente – o, se è per questo, controtransferalmente. Si pensi ad esempio a quante volte un intervento non direttivo viene percepito come direttivo, oppure a come una supposta passività del terapeuta venga percepita come attività o viceversa (queste problematiche emersero chiaramente molto presto anche nei tentativi di Luborsky [1984, p. 72] di formulare il suo manuale, quando si accorse che era ben difficile distinguere le tecniche supportive da quelle espressive solo sulla base degli aspetti descrittivi – come se il manuale volesse essere una sorta di “DSM-III della psicoanalisi” – nel senso che alcuni interventi espressivi per eccellenza, come ad esempio la interpretazione, si caratterizzano proprio per la loro azione di “rafforzamento dell’Io”, quindi per la loro natura supportiva).”

Se sostituissimo l’Astrologia alla psicoterapia, e paziente con consultante, così come descritto in questo testo, avremmo una possibile spiegazione del perché l’approccio di counseling astrologico funzioni. (Cit. Frank 1961. Tutte le psicoterapie funzionano pur essendo diverse tra loro, evidentemente l’agente terapeutico deve risiedere proprio nei fattori comuni a tutte). Vi prego di rileggere con attenzione il passaggio virgolettato in alto perché è illuminante.

Provate a pensarci. Parliamo non di previsione degli eventi, ma d’interpretazione e supporto agli accadimenti reali e psichici di un soggetto. Allo stesso modo potremmo, però, anziché descrivere la personalità di un soggetto che viene da noi per una consulenza, “MOTIVARLO”, ovvero trasformare ciò che una definizione astrologica asserisce, manco fosse scritta nella pietra (mi si passi il manco), in una pillola di costruttività proattiva.

Banalizzo con un esempio. Siamo abituati, chi più chi meno, ad affermare, definire un Ariete donna, con Venere in Ariete: “sei una donna amazzone”. Bene se, invece, dicessimo: “devi scoprire quelle qualità dell’amazzone o se già le conosci provare a metterle in pratica, con impeto misurato e attento alle necessità del mondo che ti è attorno”?. A mio avviso, senza conoscere null’altro del tema è una frase che funziona meglio ed è più utile della prima interpretazione. Fermo restando, quanto asserito nella citazione, è ovvio che nella comunicazione, per quanto limpida possa essere, il consultante potrà percepire sfumature diverse che noi magari neppure abbiamo fornito, ma è un dato di fatto intrinseco alla comunicazione-scambio intesa fra soggetti diversi. L’importante è che il consultante, l’interlocutore ci passi il feedback su cosa davvero ha inteso dalle nostre parole. Quindi anche chiedere di farci un “rewind” rispetto a ciò che ha interpretato dalle medesime è fondamentale. Ma senza entrare nel dettaglio delle tecniche di comunicazione e relazione appare evidente che a prescindere dallo strumento l’Astrologia o altro metodo di relazione/mediazione (anche la lettura delle foglie di Tè) tra individui funzioni comunque come “migliorativo” dello stato di benessere “psichico” (intendo quest’ultima parola, in questo contesto, con un senso molto banale come benessere generalizzato).

Dunque tutti gli approcci di counseling, compreso quello astrologico, funzionano (si rilegga la ricerca in alto), allora meglio motivare che descrivere passivamente un carattere. Che poi l’Astrologia possieda una semantica simbolica più evoluta della lettura delle foglie di Tè, permetta di descrivere meglio gli stati emotivi, psichici di un soggetto è fuori di dubbio, ma il perché funzioni è un tratto comune a molte altre discipline.

E’ opportuno quindi che gli Astrologi non si sentano divini o divinamente scelti e che di conseguenza come scrivevo in un’altra riflessione le “scuole” astrologiche si facciano la guerra. Più avanti spiegherò perché un approccio attivo rispetto alla materia e all’interpretazione può essere motivato anche da teorie lontane da quelle astrologiche e psicologiche.

 

 

 

COME L’UOMO PUO’ CREARE IL PROPRIO MONDO

Nel prosieguo della lettura sono citati alcuni esperimenti scientifici e i loro risultati, ma espressi in maniera il più chiara possibile. Anche se non apparirà subito chiara la correlazione del titolo dell’articolo con gli esperimenti stessi, non datevi per vinti e completate la lettura, soltanto alla fine si comprenderà il senso di tutto.

L’ETERE

Gli scienziati hanno analizzato la quantità di materia visibile presente nell’universo, è ipotizzabile che soltanto il 10% rispetto al totale esistente sia consistente. Di primo acchito sembra strano quindi che il restante 90% occupi uno spazio corrispondente al vuoto. Gli scienziati, comunque, definiscono questo spazio etere. È probabile dunque ipotizzare che l’etere, vista la sua estensione, abbia una qualsiasi funzione all’interno dell’esistente, del mondo. Durante il XVII secolo Isaac Newton usava la parola etere per riferirsi ad una sostanza invisibile che permeava l’intero universo, ritenendola responsabile della gravità e delle sensazioni corporee. Soltanto nel XIX secolo J. Maxwell descrisse in maniera più scientifica l’etere come una “sostanza materiale di tipo più sottile rispetto ai corpi visibili, che si suppone esista nelle aree di spazio che appaiono vuoti”. Nei primi del Novecento Lorentz, premio Nobel per la fisica, affermò: “non posso fare a meno di considerare l’etere, che può essere sede di un campo elettromagnetico con la sua energia le sue vibrazioni, come dotato di un certo grado di consistenza, quantunque diversa possa essere da quella della comune materia”. Lo stesso A. Einstein riteneva: lo spazio senza etere è impensabile. Nel dettaglio affermava: “in un siffatto spazio, senza etere, non solo non potrebbe venire la diffusione della luce ma non sarebbe nemmeno possibile l’esistenza di standard riferiti allo spazio e al tempo”.

Un esperimento per provare l’esistenza dell’etere è stato effettuato nel 1887 da Albert Michelson e Edward Morley. L’ipotesi di partenza era che l’etere esiste realmente come entità a se stante e che il movimento della terra attraverso lo spazio avrebbe dovuto creare un movimento analogo nello stesso. I due scienziati ipotizzarono che sarebbe stato possibile evidenziare il movimento dell’etere e, dunque la sua esistenza, attraverso un esperimento, ovvero sparando contemporaneamente due elettroni in direzioni opposte, fissando dei rilevatori alla medesima distanza in uno spazio lineare e misurando il tempo di percorrenza. Il risultato sarebbe dovuto essere che uno degli elettroni, quello che si muoveva nella direzione dell’etere, sarebbe dovuto arrivare prima dell’altro, così come accade per le navi che viaggiano a favore di corrente. L’esperimento fu condotto ma l’esito non avvalorava la tesi sull’esistenza dell’etere, questo non significava però che l’etere non esistesse e una successiva interpretazione del risultato sarebbe potuta essere che non si fosse colto il movimento dello stesso. Nel 1986 la rivista Nature ha pubblicato una ricerca dal titolo: “relatività speciale”, condotto per conto dell’aviazione degli Usa da E. W. Silvertooth. Durante questo esperimento si riutilizzò l’ipotesi delle teorie dei primi due sperimentatori ma essendo trascorsi più di 100 anni si utilizzarono strumenti molto più sensibili alle misurazioni e, in effetti, i rilevamenti effettuati in questo nuovo esperimento confermarono l’ipotesi di partenza che dei due fotoni sparati uno raggiungeva prima dell’altro la destinazione proprio perché a favore di etere.

A questo punto è lecito chiedersi: a cosa serve l’etere? Senza dubbio poiché l’etere rappresenta il 90% dell’esistente non visibile, possiede sicuramente una sua utilità, una sua funzione. Vedremo più avanti che l’etere permette la comunicazione tra le parti di materia visibile, ma la domanda successiva è: come viaggiano le informazioni attraverso esso? Un’altra considerazione fondamentale che sorge da questo discorso è che l’etere avvolgendo tutto l’esistente in un certo qual modo ci tiene in comunicazione con il tutto, perché tutto ciò che esiste è immerso nella medesima sostanza che qualora risultasse conduttrice di qualsiasi forma di energia ci permetterebbe di affermare che ogni cosa è in relazione con l’altra e quindi vivremmo in un mondo “panico” caro ai filosofi greci.

 

PENSIERO RIVOLUZIONARIO

Nel 1997 sono stati divulgati alcuni risultati scientifici riguardanti un esperimento di fisica quantistica condotto presso l’Università di Ginevra. Quest’ultimo consisteva nel dividere un fotone in due singoli come se fossero gemelli, in seguito sono poi stati sparati in direzioni opposte attraverso i cavi in fibra ottica per decine di kilometri. Tale distanza per un fotone rappresneta quasi una lunghezza infinita se pensiamo a quanto possa essere grande, possiamo quindi parlare di spazio tendente all’infinito. All’interno del percorso in un determinato punto simmetrico e equidistante rispetto al tratto opposto ad entrambi era posta una deviazione che il fotone poteva scegliere in maniera totalmente indipendente, ebbene i due fotoni sceglievano sempre lo stesso percorso in maniera simmetrica. Da questo esperimento appare come se i fotoni fossero collegati e avessero la possibilità di scambiarsi l’informazione su quale percorso scegliere e la condividessero.

Tra gli esperimenti sconvolgenti da annoverare vi è quello dell’influenza del DNA umano sui fotoni condotto da Poponin e Garaiev. Per concretizzare questo esperimento è stato realizzato quello che si definisce il vuoto all’interno di un contenitore, nel medesimo sono stati inseriti dei fotoni che si sono disposti in maniera casuale. In un secondo tempo è stato inserito del DNA umano, a questo punto la distribuzione dei fotoni è variata. Annotate le caratteristiche della variazione, è stato rimosso il DNA dal contenitore lasciando soltanto gli elettroni. Ebbene, pur avendo rimosso la materia organica, i fotoni sono rimasti disposti nello stesso modo in cui lo erano quando nel contenitore vi era il DNA. Il risultato dell’esperimento evidenzia come in un certo qual modo il “campo” all’interno del contenitore è stato modificato dal materiale organico, ma dobbiamo ricordare che all’interno del contenitore non vi era nulla se non vuoto, DNA, fotoni… di cosa è allora composto questo campo invisibile? Cos’è?

In un’ulteriore ricerca pubblicata nel 1993 sul periodico Advances l’esercito americano afferma di aver condotto degli esperimenti per trovare il legame tra emozione e il DNA. A tal proposito è stato isolato tramite dei tamponi del Dna prelevato dalla lingua di un soldato, quest’ultimo è stato messo in una stanza nella quale erano progettati filmati video registrati con immagini di forte impatto emotivo: vi erano scene erotiche, di guerra, comiche. In un’altra stanza nello stesso edificio era stato portato il suo Dna ed esaminato tramite apparecchi che ne misuravano le variazioni elettriche, mentre contemporaneamente dall’altra parte il soldato visionava i film. L’esperimento ha mostrato che il DNA produceva scariche elettriche o quantomeno vi erano delle alterazioni dello stesso in concomitanza delle variazioni emotive del soggetto che guardava il film nell’altra stanza. Tale risultato fa pensare che il DNA è come se fosse ancora collegato con il corpo del soldato cui apparteneva, cosa che invece non è assolutamente vera. Sono stati condotti altri esperimenti dello stesso tipo tenendo anche il DNA a diversi kilometri di distanza e il risultato non è cambiato. Questi risultati non fanno altro che confermare il fatto che ci sia qualcosa nello spazio che permetta la comunicazione tra due parti/soggetti che, seppure lontani fisicamente, essendo stati in contatto, anzi in questo caso essendo un tutt’uno, mantengono allo stesso modo una relazione al di fuori dello spazio.

Tra il 1992 e il 1995 l’Institute of HeartMath attraverso delle indagini scientifiche ha evidenziato come il pensiero umano e le emozioni modificassero quantità di DNA posto in un baker e, a seconda del tipo di focalizzazione del pensiero stesso, cambiava anche la tipologia di mutazione del DNA. Il fisico Max Planck nel XXI secolo affermava: “avendo dedicato tutta la mia vita alla scienza più lucida, lo studio della materia, posso affermare questo sui risultati della mia ricerca sulla materia. La medesima non esiste in quanto tale ma ha origine solo in virtù di una forza che fa vibrare le particelle atomiche che insieme quel minuscolo sistema solare che è l’atomo… dobbiamo presumere che dietro questa forza esiste una mente cosciente e intelligente. Questa mente è la matrice di tutta la materia.

Tra gli esperimenti più sconvolgenti, anche se quelli appena citati a mio avviso già lo sono, vi è quello condotto nel 1909 da G. I. Taylor che è stato denominato “della doppia fenditura”. Durante questa sperimentazione viene sparato un elettrone in uno spazio in cui vi è una fenditura e oltre la fenditura vi sono dei rilevatori che verificano lo stato d’arrivo del fotone. In questa prima tipologia di esperimento si parla dell’elettrone come un corpuscolo (oggetto) che attraversa un “foro”, giusto per semplificare la spiegazione. E’ stato effettuato il medesimo esperimento ponendo due fenditure anziché una. Il buon senso ci dice che l’elettrone avrebbe dovuto attraversare una delle due e giungere sui rilevatori come accaduto nel primo esperimento, invece, ciò non è accaduto. L’elettrone, pur essendo partito in condizioni di corpuscolo, si è comportato come un’onda e ha attraversato contemporaneamente le due fenditure, ma la particolarità sta nel fatto che l’elettrone non poteva sapere che vi fossero due fenditure. Ogniqualvolta questo esperimento viene condotto il risultato è sempre lo stesso. Guardando dall’esterno all’esperimento, gli unici a conoscere il fatto che le fenditure fossero due erano gli scienziati (osservatori), si è portati naturalmente a pensare che in un certo qual modo sia stato l’osservatore a modificare lo stato della materia e il risultato dell’esperimento.

V’invito a guardare i seguenti video. Il primo spiega l’esperimento della doppia fenditura:

https://www.youtube.com/watch?v=LXf35olSYcw

Mentre il secondo l’entaglement quantistico ovvero come una parte sia sempre in relazione con il tutto e con un’altra parte che è stata in relazione, in qualche modo, con la prima.

https://www.youtube.com/watch?v=v-EeyHU7E6c

 

Esistono tre teorie che cercano di spiegare scientificamente il fenomeno, le riassumo:

  1. Interpretazione di Copenhagen
  2. Interpretazione degli universi paralleli
  3. Ipotesi Penrose
  4. L’interpretazione di Copenhagen è stata sviluppata da N. Bohr e W. Heisenberg nel 1927. Secondo i due scienziati tutte le ipotesi quantistiche su un evento esistono tutte in forma caotica, ovvero tutto è possibile nelle sue infinite manifestazioni, ma nel momento in cui interviene l’osservatore con il suo focalizzarsi sul fenomeno lo rende attivo, reale, lo trasforma da probabile a certo, come nell’esperimento della doppia fenditura. Se pensiamo anche al principio di indeterminazione di Heisenberg egli afferma che non si possono conoscere contemporaneamente velocità e posizione di un elettrone in un atomo, in effetti i due elementi sono due realtà quantistiche diverse e l’attenzione dell’osservatore può rendere reale una soltanto, a seconda di quella su cui si focalizza.
  5. L’interpretazione degli universi paralleli è stata formulata nel 1957 all’Università di Princeton da Hugh Everett III. Lo scienziato ha affermato che tutte le possibilità quantistiche esistono e accadono ciascuna in un universo diverso, ma l’osservatore segue una sola linea temporale, un solo universo, quindi può solo saltare da uno all’altro, ma non può vivere contemporaneamente in due distinti. Così facendo, come nella prima interpretazione, è l’osservatore che rende possibile il fenomeno. In entrambe le teorie è tenuta fuori la legge di gravità, ovvero l’esistenza del fenomeno in senso materiale, mentre si è sempre parlato di energia, per completezza teoretica cercare di avere un’interpretazione che unisca materia ed energia così come postulato da Einstein fornirebbe una lettura più completa.
  6. L’ipotesi di Penrose ha cercato di fare proprio questo. Lo scienziato ha esposto la propria idea in questi termini: la materia (l’elettrone che si comporta come onda e l’elettrone che si comporta come corpuscolo) esiste e crea gravità attorno a sé. Affinché il campo gravitazionale e l’esistenza stessa siano mantenuti sono necessari grandi energie che tengano vive una o l’altra ipotesi, non possono coesistere entrambe. Nel momento in cui l’osservatore focalizza l’attenzione su una piuttosto che sull’altra, la prima prende forma e diventa reale ed è proprio quella che ha bisogno di minor energia per esistere, mentre la seconda collassa.

Dalla lettura di questo excursus fra diversi esperimenti di fisica quantistica sono emerse due cose importantissime:

  1. È l’uomo che in quanto osservatore crea la realtà, diventa quindi “partecipatore”.
  2. Che ciò che l’uomo crede e le convinzioni che possiede trasformano la realtà.

Questo binomio è ciò che restituisce la divinità, l’Eden all’uomo. Alla luce di questi dati comprendiamo come qualsiasi metodo (scientifico e non) che lavori sulle convinzioni dell’uomo, sulle sue credenze, possa essere uno strumento d’aiuto e di trasformazione. Dalla Psicologia, all’Astrologia, alla PNL, alla religione, ecc… Se queste discipline vengono utilizzate con lo scopo di lavorare sui piani citati possono davvero trasformare la vita, la realtà di ognuno di noi. Per quanto concerne gli esperimenti riassunti si può fare riferimento all’esaustivo volume di Gregg Braden – La Matrix Divina – Macro Edizioni 2007

 

COME C’INVENTEREMMO LA REALTA’

Henry Margenau, professore emerito di fisica e filosofia naturale presso l’Università di Yale dopo aver portato avanti una carriera importante nel settore della fisica molecolare e nucleare, avviò una ricerca sui fondamenti filosofici della scienza naturale.

Per approfondire le sue teorie consiglio la lettura di un suo libro: Il miracolo dell’esistenza, ma per capire ciò di cui si parli c’è un’ottima sintesi di una paginetta su questo sito: http://www.impressionisoggettive.it/sintesi_il_miracolo_della_esiste.htm

Cosa afferma Margenau: “…Una visione dei mondo che espande lontano il suo raggio d’azione ed è onnicomprensiva, contenendo tutte le visioni del mondo sussidiarie, utilitarie, quelle in cui continuiamo a entrare e uscire nella nostra vita quotidiana.”

Margenau è certo che sia possibile parlare con il linguaggio del fisico a proposito dell’unità che abbraccia distanti livelli di natura grazie alle rivelazioni della scienza moderna. Per dimostrare di non essere il solo a nutrire questa convinzione, accenna alle intuizioni di due figure di primaria grandezza nella fisica moderna, Werner Heisenberg e David Bohm. Poco prima della sua morte, Heisenberg pubblicò un saggio contenente l’ipotesi che certi concetti fondamentali, meccanicistici, di senso comune, come «composto» e «dotato di parti distinte e nominabili», possano essere privi di significato per le verità ultime a cui la fisica cerca di arrivare.” (http://www.performancetrading.it/Documents/LaRealta/LaR_HenryMargenau.htm)

Ed ancora “Questi grandi fisici suggeriscono che il concetto di totalità non si limita agli atomi. Se «pensare in termini di parti» è inappropriato al livello degli atomi, lo è anche al livello delle menti. E che cos’è la mente senza parti? E’ la Mente Una o Mente Universale, il «Tao, Logos, Brahman, Atman, l’Assoluto, Mana, Spirito Santo, Weltgeist, o semplicemente Dio». Per Margenau, il fatto che noi tutti percepiamo lo stesso mondo in modo unico è una prova dell’esistenza della Mente Universale. Certo, la visione che ciascuno ha della realtà non è precisamente identica, come ampiamente documentato da decenni di esperimenti di psicologia della percezione. Eppure esiste un’approssimativa, ma indubitabile analogia tra le nostre visioni; possiamo comunicarci esperienze condivise riguardanti il nostro mondo senza eccessiva difficoltà. Ora, come giudicare il fatto che noi condividiamo collettivamente una visione coerente del mondo? Questo fatto è profondamente importante, afferma Margenau: dopo che noi introiettiamo stimoli, alla fine, essi vengono trascritti… [in una] realtà fisica, essenzialmente uguale per tutti… [Questa] unità del tutto se ricordiamo che la materia è una costruzione della mente implica l’universalità della mente stessa.” (http://www.performancetrading.it/Documents/LaRealta/LaR_HenryMargenau.htm)

Cosa si evince quindi? Che esiste un mondo ideale, un mondo dell’Archetipo Primo contenente al proprio interno tutti gli Archetipi che diventeranno poi la Realtà di ciascuno di noi, ovvero una rappresentazione Archetipica.

A tale concetto era arrivato anche prima di Mergenau, Marco Todeschini (http://www.circolotodeschini.com/chi-era-marco-todeschini/) nei primi del ‘900, fisico italiano, in odor di Nobel, che attraverso le sue teorie aveva trovato il tanto ricercato campo unificato, ovvero una sola legge naturale che regolasse tutto il mondo fisico (meccanica quantistica e non). Todeschini sinteticamente affermava che esiste l’etere, una sostanza fisica invisibile, ma consistente come se fosse un enorme mare che tutto permea (Lo ha dimostrato con degli esperimenti scientifici ripoducibili). La nostra percezione sensoriale non sarebbe altro che la raccolta da parte dei nostri organi di senso del movimento dell’etere (immaginate quando viene lasciato cadere un sasso in acqua le onde che si propagano). I nostri sensi, dunque, trasformano in segnale elettrico l’informazione che attraversa i nostri nervi sino ad arrivare al cervello che attraverso l’Anima costruisce delle sensazioni, delle immagini, ad esempio belle. La Teoria delle Apparenze, una delle teorie rivoluzionarie di Todeschini  ha dimostrato che, come i movimenti di materia solida, liquida, gassosa o sciolta allo stato di spazio fluido che si infrangono contro i nostri organi di senso, vengono trasformati in correnti elettriche le quali inviate ai centri cerebrali suscitano nell’anima le varie sensazioni di forza, luce, suono, calore, odore, sapore, ecc. Così l’anima con tali sensazioni può viceversa incanalare correnti elettriche nelle linee nervose e negli organi di moto e di senso periferici, correnti che provocano campi magnetici, ossia movimenti nello spazio ambiente. Il fenomeno è quindi reversibile e tale reversibilità è dimostrata dal fatto che l’anima umana mediante la emissione di forze può provocare correnti elettriche per azionare a sua volontà gli organi di moto del corpo umano. Esisterebbe quindi un’Anima universale e un campo unico (l’etere) come ipotizzava anche Mergenau.

L’idea di una mente universale non localizzata sembra spiegare molte cose, diversi scienziati, come abbiamo letto hanno ipotizzato la sua esistenza, fra questi vi è anche Rupert Shaldrake, noto biologo, ha ipotizzato l’esistenza di campi morfogeni che quindi cambiano con l’esperienza degli individui e con il trascorrere del tempo. Sinteticamente afferma che le leggi dell’universo, in quanto facenti parte di un campo, sono in continuo divenire con l’esperienza di chi le utilizza o ancora più semplicemente afferma che l’esperienza (fisica e non) che fa un singolo individuo di una comunità viene trasmessa geneticamente anche agli altri individui del gruppo. Nulla si perde, quindi nell’entropia, ma resta memorizzato nel campo morfogenetico. Per meglio spiegare quest’ultima affermazione si può leggere del’ esperimento di W. McDougall (http://www.performancetrading.it/Documents/LaRealta/LaR_EsperimentiWilliam.htm) in cui si evince quanto affermato, ovvero che una famiglia di topi ha maturato una conoscenza della realtà attraverso l’esperienza di altri topi che non avevano alcuna relazione con i primi. E’ come affermare che poiché io ho scoperto che l’acqua calda può ustionarmi, altri uomini che non hanno mai fatto tale esperienza, istintivamente sentono di non dovervi entrare in contatto perché sanno che faccia male. Le nostre azioni, dunque, non solo modificano il nostro mondo, ma possono cambiare anche quello degli altri.
Un altro campo, di più moderna scoperta scientifica 2012, ma previsto sin dagli anni ’60 è quello di Higgs. L’esistenza del Bosone di Higgs e del campo di Higgs, come è spiegato in questo articolo permette di comprendere il perché esista la realtà, perché le particelle abbiano una massa. A ben leggere l’articolo (http://www.lastampa.it/2013/10/08/scienza/la-particella-che-dona-la-massa-ecco-che-cos-il-bosone-di-higgs-9zZ8exyklVrjBHrI0GDGHN/pagina.html) è un po’ ciò che ha teorizzato Todeschini con l’Etere,.

 

TIRIAMO LE SOMME

Che possiamo ipotizzare un mondo in cui vi sia una legge Universale che governa tutto, ma che nello stesso tempo è in continua evoluzione grazie all’uomo stesso. Il contenitore dell’Universo è l’Archetipo UNO (Dio), gli Archetipi sono le infinite possibilità di manifestazione dell’esistenza e noi, uomini, cosa più importante possiamo agire con gli archetipi, manipolarli, utilizzarli con diverse tecniche dall’Astrologia ad altre, ma si spera con un indirizzo teleologico comune il benessere dell’uomo.

La parola è azione (Verbum caro factum est, recita la Genesi), il pensiero è azione, creare un “campo” con l’interlocutore, farlo sentire appartenente al tutto è fondamentale affinché l’approccio con il medesimo sia fruttuoso e costruttivo.

Ecco il motivo per il quale fare previsioni astrologiche può essere pericoloso perché il fatto stesso di “identificarle” in qualche modo le crea e le rende possibili (auto avveranti). Allora perché, io mi chiedo, non “prevedere” costruendo ipotesi positive e meno distruttive o meglio ancora costruire la “previsione” assieme alla volontà del consultante fornendo dei semi interpretativi che poi germoglieranno da soli?

Lo stesso pensiero è declinabile anche nell’interpretazione del tema natale che deve essere un dialogo, non una rito monodirezionale, colpevolizzante ed identificante con l’idea che l’astrologo si fa del tema del consultante.

 

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