L’Ariete e la mitologia
Il mito della creazione del mondo
Superando l’equatore celeste il Sole riprende simbolicamente il suo corso e risorge dall’oscurità e dalla morte, dall’inverno, dal regno di Ade per tornare a brillare alto nel cielo e dare inizio ad un nuovo ciclo stagionale. Dante a proposito della stagione primaverile e del Segno dell’Ariete ricordava che quando Dio decise di creare il mondo lo fece proprio in primavera:
“Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n su con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle;”[1]
La forza dell’Ariete cercava di essere impressa anche ai neonati quando venivano posti in ceste di lana (vello) affinchè fossero cullati e si addormentassero. Sempre in marzo si festeggiava la resurrezione di Attis che tornava da sua Madre Cibele, allo stesso modo della resurrezione pasquale di Gesù.
L’Ariete e il Toro
Sembra che la costellazione dell’Ariete sia stata creata dagli egizi che l’hanno posta fra il Toro e quella di Pegaso, perché il corpo del Toro sembra monco a parte la testa; è come se fosse stata inserita per forza probabilmente per indicare qualche evento specifico e forte a livello naturale accaduto in quegli anni.
“Vi è chi sostiene invece che sia di origine mesopotamica col nome sumerico di LÚ.HUN.GÁ, tradotto poi nel semitico agru, «operaio salariato», Si spiega che la sostituzione di «salariato» con «ariete» è dovuta all’errore di uno scriba che invece di LÚ, «uomo», ha scritto il suo omofono LU, che significa «ariete».”[2]
Dioniso e l’Ariete
Un’altra storia in relazione alla nascita della costellazione dell’Ariete è quella che vede Dioniso, mentre si trovava in Egitto con i suoi soldati. Le truppe stremate dal caldo videro un ariete nel deserto e vi corsero dietro, oltre le dune trovarono una sorgente di acqua che gli permise di sopravvivere. Dioniso, allora, innalzò un tempio dedicandolo a Giove – Ammone, e
“lo rappresentò fra le costellazioni in modo che il Sole, soggiornandovi, rinvigorisse in primavera le piante e gli animali. Inoltre volle farne il primo segno zodiacale perché era stato la migliore guida del suo esercito in un difficile frangente.”[3]
A tal proposito dobbiamo ricordare chi sia Dioniso e le sue origini affinché emergano dei rimandi ancor più chiari al simbolismo del Segno dell’Ariete. Dioniso ha diversi miti che ne raccontano della sua nascita e la sua morte, per poi rinascere ancora, l’informazione certa per i mitografi è che suo padre fosse Zeus. Uno in particolare afferma che Semele, figlia del Re Cadmo, marito di Armonia, a propria volta figlia di Ares/Marte e Afrodite, ingannata da Era avesse, mentre era incinta di Dioniso, chiesto a suo marito Zeus di mostrarsi in tutta la sua potenza, nella sua forma divina. Zeus lo fece e per errore la folgorò, allora prese Dioniso dal ventre della madre e lo cucì in una sua coscia affinché poi potesse nascere. Non importa il racconto completo della nascita di Dioniso, nel nostro caso, ma il fatto della parentela di quest’ultimo con Ares/Marte che era il bisnonno. A maggior ragione cogliamo il nesso con l’Ariete citato nel racconto precedente, assieme alla potenza del fuoco devastante di Zeus, che è poi analoga a quella dell’Ariete.
Il Vello d’Oro
L’Ariete dal Vello d’Oro era figlio di Poseidone, quando era una divinità tellurica prima che diventasse una divinità dei mari, e la dea Teofane che “era corteggiata da diversi pretendenti, ma Poseidone la rapì e la portò in un’isola il cui nome forse significava «l’isola dell’ariete». Ad ogni modo, il racconto continua dicendo che Poseidone trasformò la sposa in una pecora e se stesso in un ariete, anzi trasformò in pecore anche gli abitanti dell’isola. Così la coppia poté restare nascosta ai pretendenti sopraggiunti e Poseidone celebrò le sue nozze d’ariete dalle quali nacque”[4] l’Ariete dal Vello D’Oro.

Proprio del Vello d’Oro si racconta nel mito di Frisso e Elle, figli di Atamante e Nefele. Kerényi ricorda che
“In Tessaglia […] una dea di nome Nefele, la «nuvola», era andata dal re Atamante e lo aveva scelto per marito. Secondo questa storia, Nefele diede ad Atamante due figli: Frisso, il «ricciuto», ed Elle, nome che si potrebbe dare anche a un giovane cervo o a una cerbiatta. Il re però si allontanò dalla dea e prese una moglie terrena. Allora Nefele ritornò in cielo e castigò tutto il paese provocando la siccità. Atamante mandò dei messi all’oracolo d’Apollo per sapere cosa si poteva fare contro tale decisione. La storia però veniva raccontata anche in altro modo: era stata la regina Ino, [N. d. A.] seconda moglie di Atamante, che aveva spinto le donne del paese a far seccare segretamente il grano destinato alla semente e a provocare così la sterilità dei campi. Secondo questa versione essa aveva corrotto anche i messi che erano stati invitati a Delfi, affinché essi dicessero che l’oracolo ordinava di sacrificare i figli di Nefele.”[5]
Atamante avrebbe dovuto sacrificare i figli con una scusa chiese a questi ultimi di prendere uno degli arieti più belli del gregge affinché venisse sacrificato, ma fu il Vello d’Oro a presentarsi ai due ragazzi e spiegò la volontà del padre, in questo modo Frisso ed Elle decisero di fuggire con l’ariete mandato da Zeus. In altri racconti si afferma che Frisso stesso si fosse offerto per essere sacrificato, ma lui non era sufficiente, allora ci fu bisogno di coinvolgere anche Elle. Il racconto poi ritorna all’apparizione dell’Ariete del Vello d’Oro di cui si è appena scritto.
Un’ulteriore narrazione descrive che la loro madre Nefele “aveva ricevuto in dono da Era l’ariete dal vello d’oro e l’aveva mandato in aiuto dei figli. Essi salirono in groppa all’astuto animale, che volò con loro verso il lontano paese orientale della Colchide. Il destino della ragazza era quello di arrivare soltanto fino allo stretto che separa il nostro continente dall’Asia Minore, e che oggi, dall’antica città di Dardano, si chiama Dardanelli. Nell’antichità si chiamava Ellesponto, «mare di Elle», perché la sorella di Frisso cadde nelle sue acque. Questo era il suo matrimonio con Poseidone, a quanto indicavano alcune pitture.”[6] Ritroviamo ancora Poseidone che è in qualche modo legato al mito del segno dell’Ariete.
L’Ariete parlò al fratello spaventato per la perdita della sorella e gli infuse coraggio, in tal modo raggiunse la Colchide. Frisso diede in sacrifico a Zeus Fixos (salvatore dei fuggitivi) l’Ariete dal vello d’oro che era fin dal principio destinato a tornare fra gli dei. Donò il Vello d’Oro al re della Colchide che fu appeso ad una quercia nel santuario di Ares: fu per esso che Giasone intraprese coi suoi Argonauti l’avventuroso viaggio in quelle terre. Atamante e Ino che avevano voluto la morte dei propri figli erano poi stati puniti con la pazzia.
L’Ariete venne poi posto da Zeus tra le costellazioni come riconoscimente per l’aiuto offerto e reso in questo modo immortale.
Giasone e gli argonauti
L’Eroe che andò a prendere il vello d’oro apparteneva alla stessa famiglia alla quale apparteneva anche Frisso, figlio di Atamante, portato dall’ariete dal vello d’oro nella Colchide sul Caucaso. Giasone indirettamente combatteva anche lui contro Poseidone, così come fecero Frisso ed Elle quando scappavano dalla divinità dei mari, poiché cercava di riconquistare il regno rubato a suo padre da uno dei discendenti di Poseidone.

“Giasone fu allevato dal saggio centauro Chirone, la cui sede, il monte Pelio, dominava le due città di Esone e Iolco. Il divino animale selvatico deve averlo chiamato per primo Giasone, che voleva significare ciò che guarisce e porta salute.”[7]
Giasone mentre si recava ad un sacrificio di Pelia in favore di Poseidone incontrò lungo il suo percorso Demetra ed Era, quest’ultima era travestita da donna anziana, e l’eroe non la riconobbe, la prese sulle spalle per aiutarla ad attraversare il fiume, ma a causa di questo movimento perse il sandalo dal piede sinistro. In precedenza a Pelia era stato predetto che si sarebbe presentato da lui un uomo con un piede scalzo che l’avrebbe ucciso. Una volta visto Giasone, si preoccupò e chiese a quest’ultimo cosa avrebbe fatto se avesse saputo dall’oracolo che un suo concittadino l’avrebbe ucciso. Giasone rispose che avrebbe dovuto mandarlo a prendere il Vello d’Oro, Pelia fece così.
In un altro racconto Giasone era tornato presso la sua terra che era stata sottratta a sua padre da Pelia e dopo essersi ricongiunto con la sua famiglia venne accompagnato dall’anziano re, affinché si potesse trovare un accordo e ridistribuire il regno. La richiesta fu che Pelia mantenesse terre e armenti, mentre lui avrebbe avuto lo scettro che gli spettava per diritto di nascita. Pelia avvertiva che le voci dell’Ade gli chiedevano aiuto, in particolare:
“Gli era apparso in sogno Frisso che desiderava che qualcuno andasse in casa di Eete e riportasse da lì la sua anima e il vello d’oro. Pelia aveva consultato l’oracolo di Delfi, che aveva ordinato di mandare una nave. Questo sarebbe stato il prezzo della signoria di Giasone. Pelia confermava ciò col giuramento.”[8]
Il vello d’oro e l’anima di Frisso secondo questa narrazione si trovavano presso la terra di Eete, che trae il suo nome da Eos, dea dell’aurora. Eete era quindi un regno fra vita e morte, la congiunzione tra due mondi. Nel tema natale non dobbiamo dimenticare che la I Casa, l’Ascendente, è quella in cui i pianeti sorgono, è li che troviamo le forme archetipiche, ancora vuote, gli spiriti, in un certo senso, che vogliono apparire alla coscienza, sono forti e decisi, come nel caso di Frisso che tornava da Pelia attraverso l’oracolo e i sogni. A guardia del vello d’oro c’era un drago enorme che Giasone doveva sconfiggere. Questo racconto, come evidenziato, è collegato con quello del vello d’oro e di Frisso, i due sono in relazione, l’Ariete porta con sè le simbologie, i significati di entrambe le storie che s’intrecciano. Zeus era adirato poiché Atamante aveva permesso il sacrificio del proprio figlio, allora farà di tutto affinché la missione di Giasone si compia e venga espiato il peccato commesso. Vengono reclutati diversi uomini e figli di dei, per questa missione, costruita la nave Argo da cui prenderanno il nome, argonauti. C’erano Ercole, Teseo e molti altri figli di divinità, tutti personaggi alla ricerca della gloria eterna, del ricongiungersi con il femminile, l’Anima come scriveva Jung parlando dell’Eroe. René Guenon ricorda che:
“Non c’è che una differenza di accentazione fra l’aggettivo “argos”, «bianco», e il nome della città; quest’ultimo è neutro, e lo stesso nome al maschile è quello dell’eroe Argos. Si può pensare anche alla nave “Argò” (che si dice fosse stata costruita da Argos e il cui albero era fatto con una quercia della foresta di Dodona); in tal caso la parola può anche significare «rapido», essendo la rapidità considerata un attributo della luce (e specialmente del lampo), ma il significato principale è «bianchezza» e, subito dopo, «luminosità». – Dallo stesso nome deriva il nome dell’argento, metallo bianco che corrisponde astrologicamente alla Luna: il latino “argentum” e il greco “arguros” hanno evidentemente una radice identica.”[9]
Le navi, a ben guardare, hanno una forma di falce che ricordano la Luna, solcano i mari (acqua). Gli argonauti sono gli eroi partiti alla conquista del Vello d’oro. La nave Argo è l’Anima femminile che conduce gli eroi, Animus, verso l’obiettivo solare che si concluderà con l’offerta a Marte. Il maschile che non può fare a meno del principio femminile per la realizzazione.
Giasone e gli argonauti dovettero affrontare diversi pericoli, prima le donne di Lemno, poi il Re Cizco e poi giunsero nella terra di Misia. Nei tre racconti ci sono sempre figure femminili che cercando di deviare l’eroe dalla propria missione alla ricerca di qualcosa di più grande, anche nel caso di Cizco si racconta che gli argonauti riapprodarono per la seconda volta sull’isola, a causa dell’assenza di Luna che gli avrebbe fatto perdere la strada. Nel caso di Misia, le ninfe del fiume fecero perdere Ilo, servo di Ercole, che a propria volta abbandonò la missione per cercarlo. Non dimentichiamo che questo mito è messo in relazione con il segno dell’Ariete, gli argonauti si muovono per guerreggiare, riconquistare il vello, ma l’Anima, il femminile sembra intralciarlo, oppure non vogliono comprenderne il messaggio profondo che potrebbe essere: se continui senza fermarti a riflettere e godere il presente rischi di non trovare mai nulla.
Dopo , gli Argonauti si recarono nella terra del re Finea dove vi erano le Arpie, uccelli rapaci dal corpo femminile, che rubavano il cibo al re per volere di Zeus. Giasone le uccise e in cambio Finea spiegò come arrivare nella Colchide superare le Simplegadi che erano enormi scogli sempre in perenne movimento e non lasciano passare nessuno. Superati gli scogli giunsero finalmente nella Colchide, dove il re Eeta custodiva il vello d’oro.
Considerazioni astrologiche
Le pecore hanno dato origine alla parola pecunia, denaro, in quanto erano un misuratore di ricchezza, nell’antichità più armenti si possedavano più si era ricchi, ecco perché l’offerta agli dei di arieti, tori, agnelli era simbolicamente importante, ma anche concretamente impegnativa per coloro i quali la facevano. Riportandolo ai giorni nostri sono il denaro che utilizziamo per acquistare qualcosa, ogni acquisto diviene un’offerta per diverse divinità: Hermes (comunicazione), Afrodite (bellezza), e così via. Allo stesso modo il soldato era colui il quale era al “soldo” di qualcuno. Il segno dell’Ariete porta con sè il fuoco, l’azione, la guerra tipica di Marte, ma senza soldo, senza Ariete da sacrificare, la moneta di scambio, non si può andare da nessuna parte. Nella stagione dell’Ariete il sole si rinvigorisce, rinasce per poi iniziare a crescere sino al solstizio d’estate, la fiamma del fuoco arietino folgora quando non si è capaci di sopportarne il calore. In alchimia sono quattro i gradi del fuoco, ciascuno con una propria qualità e forza:

“la gallina che cova, lento e dolce come il calore della carne viva; il sole di giugno; un fuoco calcinante, sostenuto e gagliardo; irruento e scattante; capace di scogliere il piombo e fondere il ferro. “[10]
Gli ultimi due gradi, sono quelli più brucianti in relazione con Marte, che scioglie il ferro, lo spirito guerriero ovvero quello dell’Ariete[11]. L’Ariete è apparentato simbolicamente con Marte anche grazie alla genealogia di Dioniso, ma l’uomo stesso, in quanto figlio di Dioniso e dei Titani porta con sè l’eredità di Marte, dell’azione, dell’impulso. L’ariete porta con sè l’idea di sacrificio, ma prima di azione salvifica, di fuoco primordiale. L’Ariete salva Frisso, ma in cambio deve cedere Elle, la parte femminile, a Nettuno. Si nota come nel racconto di Frisso ed Elle, le presenze divine s’incrocino. Poseidone, governatore del Segno dei Pesci, è presente in un mito dell’Ariete, come leggeremo di seguito i punti comuni possiamo trovarli anche in altri episodi mitologici. L’Ariete porta con sè, dunque, la simbologia di Poseidone lo scuotitore, divinità tellurica, impulsiva e irascibile che deve completarsi grazie all’unione con il femminile, per poi diventare re dei mari. Esiste un collegamento, quindi, fra il segno dell’Ariete e quello dei Pesci, ma allo stesso modo leggendo altri miti, possiamo scoprirne degli altri che sono utili ad ampliare le possibilità interpretative. In che modo possiamo pensare che fuoco e acqua zodiacali, intuizione e sentimento possano entrare in relazione tra loro?
Proviamo ad immaginare il fuoco che scalda l’acqua e produce vapore. Il vapore può rendere poco chiara la visione, come la nebbia. Il vapore è utile per generare movimento, ricordiamo i treni. Il fuoco può consumare, totalmente, l’acqua, far bruciare la pentola. L’acqua non è dispersa si è trasformata in vapore, ha cambiato stato. Il cambio di stato ha in sé qualcosa di alchemico.
Il vapore può annebbiare, far perdere la strada, avete mai pensato al segno dei Pesci che spesso viene visto come una tipologia astrologica che vive con la testa fra le nuvole? Ebbene, potrebbe essere il fuoco di Marte, che lo fa apparire e vivere in questo modo, o almeno possiamo raccontare una storia, in cui il segno dei Pesci non è semplicemente passivo, inerme, ma dotato di energia e voglia di agire. Nel video che propongo passiamo da Marte, Ariete, fuoco, all’acqua dei Pesci. L’acqua, se gettata sul fuoco, può spegnerlo, quindi, affinché possa avvenire quanto descritto in precedenza, ovvero l’evaporazione, l’elemento deve essere posto in un contenitore che scaldi. Il mare è contenuto dalla terra, così come la pentola che usiamo per scaldare l’acqua. Se, invece, l’acqua è liberata dal contenitore, straborda dagli argini, viene a contatto diretto con il fuoco, se la quantità è sufficiente può spegnerlo, ma nello stesso tempo, evapora.
Il sacrificio della divinità solare incarnata ritorna spesso nel nostro patrimonio antropologico. Il sacrificio di Mithra in forma di Toro, che come abbiamo letto è vicino, in qualche modo, alla nascita della costellazione dell’Ariete. Assieme a Mithra vi erano i dadofori, portatori di fiaccola, uno con la fiamma rivolta verso l’alto, l’altra verso il basso a indicare la morte. Allo stesso modo il sacrifico dell’agnello per i cristiani è assimilabile a quello dell’ariete. Anche Gesù quando venne crocifisso aveva al proprio fianco due persone, fra cui una sarebbe finita all’inferno e l’altra con lui in paradiso. Il sacrificio del figlio, così come per Isacco, è un motivo spesso presente che evidenzia la necessità di abbandonare e uccidere parte di sè, la propria creazione, in vista di qualcosa di più grande. Nell’Apocalisse di San Giovanni troviamo la figura dell’agnello che deve essere salvato prima della sua nascita, così come accaduto ad Apollo, Afrodite e suo figlio, Iside e Oro, Dèrceto-Atargatis e suo figlio Ichthys. Sempre nell’Apocalisse si legge:
“Apparve… una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle.” La donna “grida per le doglie e il travaglio del parto” ed è inseguita da un drago. Partorirà un figlio maschio”[12].
Le dodici tribù di Israele, i dodici segni zodiacali, le dodici divinità olimpiche l’interpretazione può essere la più diversa, ma di certo è in relazione con l’inizio di un ciclo che è rappresentato dalla primavera arietina. Jung aggiunge nella descrizione dell’apertura dei sigilli:
“Segue l’apertura del libro chiuso dai sette sigilli, che verranno infranti dall’“ Agnello”. Questi, deposti i tratti umani dell’“Antico dei giorni” appare in una forma puramente teriomorfa ma mostruosa, come uno dei numerosi altri animali provvisti di corna dell’Apocalisse: ha sette occhi e sette corna, di modo che non assomiglia a un agnello ma a un ariete, in verità di aspetto piuttosto sgradevole. Per quanto Giovanni affermi che era “come immolato”, in seguito non si comporterà affatto come una vittima innocente ma, al contrario, rivelerà una notevole vivacità. Aprendo i quattro primi sigilli libera i quattro funesti cavalieri dell’Apocalisse. All’apertura del quinto sigillo si ode il grido di vendetta dei martiri (“Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?”) L’apertura del sesto sigillo scatena una catastrofe cosmica e tutto si nasconde “dall’ira dell’Agnello; perché è venuto il gran giorno della loro ira…” Non si riconosce più il dolce Agnello che si lascia condurre senza resistenza all’altare del sacrificio; si ha piuttosto l’impressione di trovarsi dinanzi a un ariete bellicoso e irritabile che può dare infine libero corso alla sua collera. Io vedo in questo episodio, piuttosto che un segreto metafisico, l’esplosione di sentimenti negativi da lungo rimossi e accumulati, la cui esistenza viene spesso osservata in chi pretende di raggiungere la perfezione.”. [13]
Qui appaiono in modo chiaro altre caratteristiche del segno dell’Ariete, bellicoso, irritabile che trasforma il tentativo del suo sacrificio in vendetta, eruzione di sentimenti passati violenti, necessità di ribellarsi al passato, di eliminare il senso di colpa e creare un nuovo inizio. Ciò che è stato elaborato dalla coscienza, ma soffocato, non portato alla luce diviene un vulcano carico di magma pronto ad esplodere. Forse, uno dei modi di gestire questa simbologia da parte dell’Ariete, la troviamo nella necessità d’iniziare tante cose, di essere motore attivo e instancabile, pur di scaricare le energie, ma che deve mettere grande impegno per portarle a termine, è come se dovesse costruire degli argini alla lava, in modo tale che assumano una direzione specifica, prendano una forma. Questo tipo di attività è prettamente venusiana e saturnina, è il forno alchemico che deve indirizzare il fuoco.
Cosa accade all’Ariete che tira fuori tutta la sua energia, è sempre Jung che prova a fornire una spiegazione:
“L’Agnello trasformato in un ariete demoniaco apre un nuovo Vangelo, l’Evangelium aeternum, il cui contenuto è, al di là dell’amore per Dio, il timor di Dio. È per questo motivo che l’Apocalisse si conclude, come il processo classico d’individuazione, col simbolo dello hierosgamos, delle nozze del Figlio con la Madre-Sposa. Le nozze hanno però luogo in cielo, dove non penetra “nulla d’impuro”, al di là del mondo devastato.”[14].
Troviamo la fusione tra Sole e Luna, un nuovo inizio, appunto l’Ariete. La fusione è l’obiettivo individuativo di qualsiasi soggetto e di qualsiasi segno, ognuno di noi possiede nel tema natale l’Ariete, potrà non avere pianeti, ma case, sarà intercettato, allora guarderemo al pianeta governatore, ma certamente la scintilla arietina è potente e prende forma nella vita del soggetto, sia essa vita psichica che mondana. A conferma della forza di rinascita e propulsiva dell’Ariete leggiamo:
“In primavera tutte le forze vitali sono in uno stato di festosa esaltazione. In primavera (ma già “in Ariete”, il cui signore è Marte) deve anche aver principio l’opus alchymicum. È in questo periodo che occorre raccogliere gli “Aniada”, come se si trattasse di erbe salutari. L’espressione “raccogliere” (sammeln) è però a doppio senso: può infatti anche significare che si devono “raccogliere”, “concentrare” tutte le forze dell’anima in vista della grande trasformazione.”.[15]
[1] D. Alighieri, Inferno, I, 37-40
[2] A. Cattabiani, Planetario: Simboli, miti e misteri di astri, pianeti e costellazioni
[3] Ibidem
[4] K. Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia
[5] Ibidem
[6] Ivi
[7] Ibidem
[8] Ibidem
[9] R. Guénon, Il Re del Mondo
[10] J. Hillman, Psicologia Alchemica
[11] ibidem
[12] C. G. Jung, Aion: ricerche sul simbolismo del Sé.
[13] Ibidem
[14] Ibidem
[15] C. G. Jung, Studi sull’Alchimia