L’interpretazione del tema natale e il destino.
Dalla lettura dell’interessantissimo libro del Dott. Claudio Widmann, “Sul Destino”, Edizioni scientifiche Ma.gi., 2006, consigliatomi da Grazia Bordoni, mi è nata una domanda importante, fondamentale per noi astrologi: ma possiamo davvero interpretare un tema di nascita e quindi il destino di un soggetto?
E’ necessario, per rispondere a questa domanda, definire cosa sia il destino e di conseguenza anche il tema natale che ne è una possibile espressione.
Nella nostra cultura che affonda le radici in quella greca non possiamo fare a meno di conoscere la mitologia delle Moire.
“Le Moire è il nome dato alle dee del destino, dalla genitura molto controversa. Infatti, nell’Apollodoro sono figlie di Zeus e di Temi; Igino ed Esiodo le dicono figlie della Notte; la teogonia orfica le dice figlie di Urano e di Gea.[2] La tesi più accreditata, comunque, attribuisce la loro origine all’unione tra Erebo e la Notte. Esse sono tre, vestite di bianco, e si chiamano Cloto, Lachesi e Atropo. Quest’ultima è la più piccola di statura delle tre, ma anche la più terribile. Erano rappresentate vestite di bianco e in atto di filare i giorni della vita di ogni uomo.[4]
Ad esse, infatti, era connessa l’esecuzione del destino assegnato a ciascuna persona e, quindi, erano la personificazione del fato ineluttabile. Cloto, inventrice assieme alle sorelle delle prime sette lettere dell’alfabeto greco, filava, appunto, lo stame della vita; Lachesi, invece, lo svolgeva sul fuso; Atropo, infine, raffigurata con delle lucide cesoie, una bilancia e, talvolta vestita di nero, con l’espressione del viso dura, arcigna ed impassibile, recideva il filo, inesorabile.[5] I loro nomi derivano, senza dubbio, dalle funzioni attribuite a ciascuna: Cloto, la filatrice, daκλωθῶ, “filare”; Lachesi, la misuratrice, da λαγχάνω, “avere in sorte”; Atropo, colei che non si può evitare, da α (privativa) unita a τρἐπω, “io cangio”. La prima prepara i destini, la seconda li distribuisce, l’inflessibilità della terza impedisce a loro di variare.[6] Il nome di Moira che le designa complessivamente, inoltre, significa anche “parte”: le tre parti del mondo e le tre parti del tempo.[7]
La lunghezza dei fili prodotti può variare, esattamente come quella dell’esistenza degli uomini. A fili cortissimi corrisponderà una vita assai breve, come quella di un neonato, e viceversa. Si pensava, ad esempio, che Sofocle, uno dei più longevi autori greci (90 anni), avesse avuto in sorte un filo assai lungo.
Si tratta di tre donne dall’anziano aspetto che servono il regno dei morti, l’Ade. Il sensibile distacco che si avverte da parte di queste figure e la loro totale indifferenza per la vita degli uomini accentuano e rappresentano perfettamente la mentalità fatalistica degli antichi greci.[5]
Questo mito pare sia nato dall’abitudine di intessere le insegne della famiglia e della tribù sulle fasce del bimbo neonato, che entrava, così, di diritto a far parte della società; ma le Moire sono la triplice dea Luna, ed ecco il perché delle vesti bianche e della benda di lino che è sacra alla dea in qualità di Iside. Moira significa “fase” e la Luna, appunto, ha tre fasi e tre persone: la luna nuova, cioè la dea-vergine della primavera, il primo periodo dell’anno; la luna piena, la dea-ninfa dell’estate, il secondo periodo dell’anno; e la luna calante, la dea-vegliarda dell’autunno, l’ultimo periodo dell’anno.
Alcune fonti sostengono che Zeus, che pesa sulla bilancia le vite degli uomini e informa le Moire delle sue decisioni, può cambiar parere e intervenire in favore di chi vuole, anche se il filo della vita di costui, filato dal fuso di Cloto e misurato da Lachesi, sta per essere reciso dalle forbici di Atropo. Anzi, gli uomini sostengono, addirittura, di potersi salvare, entro certi limiti, modificando il proprio destino grazie alla prudenza nell’evitare inutili rischi. Gli dei più giovani, dunque, si prendono gioco delle Moire e alcuni dicono che Apollo un giorno riuscì ad ubriacarle con un raggiro per salvare la vita del suo amico Admeto.
Altre, invece, ritengono che Zeus stesso debba sottostare alle Moire, come la sacerdotessa pitica affermò una volta in un oracolo; le Moire, infatti, non sono figlie di Zeus, ma nacquero per partenogenesi della Grande Dea Necessità, con la quale gli dei non osano contendere, e che è chiamata “la Possente Moira”.[3] Quindi, tutti gli dei erano tenuti all’obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantiva l’ordine dell’universo, al quale anche gli dei erano soggetti.” ( http://www.atuttascuola.it/collaborazione/manzoni/2011/epica/MOIRE%20di%20FELISI%20ALESSANDRO.htm )
Se le Moire assegnano un destino a un soggetto possiamo affermare con Widmann che: “…vi sono limiti di soggettività che non sono passibili di modificazioni sostanziali; ognuno è portatore di un nucleo di personalità scarsamente influenzabile inaccessibile all’alterazione e alla manipolazione.”
Alla luce di quanto esposto possiamo immediatamente ricondurre il discorso al tema natale, perché quest’ultimo altro non è che un’istantanea del momento in cui il soggetto è nato, istantanea che è assimilabile al destino che ci è toccato in sorte. Cosa significa questo? Che noi abbiamo delle potenzialità, un nucleo centrale, che può anche essere identico in molte persone: possono nascere e avere la medesima carta del cielo ma questo non significa che questi soggetti avranno comunque la stessa vita.
Neppure le Moire conoscono come il destino arriverà a compiersi, proprio nel suo dipanarsi, evolversi esso prenderà forma e sarà esercitato il libero arbitrio.
Ad esempio “Pur essendo destinati ad una vita di eroi, Achille dovette apprendere l’uso delle armi del centauro Chirone, ed Eracle dovette seguire un training di formazione anche più complesso, alla scuola dei più valenti specialisti nelle diverse discipline: <<Anfitrione gli insegnò a guidare il cocchio, Castore gli diede lezioni di scherma, uno dei figli di Ermete fu il suo maestro di pugilato, Eurito forse lo stesso Apollo insegnò a maneggiare l’arco>>”
Queste puntualizzazioni sul percorso di formazione di un eroe mostrano che la sola forza del destino non è tanto possente da improntare per intero l’esistenza dell’individuo verso una manifestazione anziché un’altra, se non è il soggetto a riempire con dei contenuti la coppa del destino. Viene richiesta la partecipazione attiva dell’uomo affinché il suo destino possa compiersi o meglio una delle infinite possibili rappresentazioni. La forma del destino individuale è una, ma le possibili rappresentazioni archetipiche dello stesso, le possibili vite reali del soggetto possono essere infinite e si compiranno nel presente attraverso le scelte, le azioni.
Due uomini, pur avendo il medesimo cielo natale, avranno destini diversi perché la forma viene riempita dalle scelte individuali. L’individuo si forma grazie all’interazione con l’ambiente quindi il destino si adatta all’ambiente. Se cambiamo ambiente possiamo cambiare il contenuto del destino ma non la forma. Sono infinite le manifestazioni di un medesimo destino, di un medesimo cielo. Lo stesso cielo, la stessa coppa, come nel mito del Graal può apparire solo ponendo le domande giuste, riempiendola con liquidi diversi. E’ un divenire infinito il liquido con cui riempiamo il destino, è l’Acqua di Oceano, titano primordiale che mette in comunicazione tutto con tutto.
Attraverso la sincronicità possiamo, in alcuni momenti, dare un senso al destino, ma non domarlo, possiamo indirizzarlo, come si devia il corso di un fiume che è sempre in movimento.
E’ importante, prima di tutto, definire cosa sia il destino; se è quella forma che ogni individuo possiede che è composto da una parte genetica, una parte universale archetipica definita dal momento della nascita (carta natale), siamo allora assoggettati al destino, è vero. Ma la libertà di riempire la forma appartiene a noi, attraverso le azioni e le scelte. A posteriori possiamo sempre affermare che sia stato il destino a condurci verso la rappresentazione di una vita anziché in un’altra. Ma la definizione a posteriori, che tiri in mezzo il destino nel momento in cui analizziamo una vita o un accadimento già dati, non è corretta, perché il destino si esplica in modo continuo nel presente del soggetto, in ogni istante. Cambiare ambiente, per una persona, significa offrire un terreno diverso alle possibili manifestazioni di un destino individuale, questo perché l’ambiente influisce così come l’azione stessa.
Le Moire non possono condizionare quello che è il corso degli astri. “Analogamente, il corso degli astri non è soggetto alla discrezionalità dei numi, e come le Moire o le Norne anche le stelle governano da tempo immemorabile la vita degli uomini. Nel VII secolo a.c. (o forse prima) l’astrologia era fiorente nell’antica Babilonia; il testo assiro Enuma Anu Enlil ne documenta l’affermazione inaugura la convinzione, non ancora tramontata, che la sorte degli uomini non appartenga a immaginarie potenze del destino ma a reali entità celesti: astri, pianeti, stelle.
Secondo questa concezione, la vita dell’uomo e il destino del cosmo sarebbero scritti entrambi nel corso delle stelle. L’uomo nasce sotto una buona e una cattiva stella; le congiunzioni astrali improntano la sua identità; i transiti planetari segnano il decorso delle sue esperienze; il favore degli astri governa i suoi passaggi esistenziali.”
Ma se anche gli astri segnassero, in qualche modo, il possibile evolversi della vita di un individuo Widmann aggiunge che: “Il mito suggerisce che perfino il cambiamento terapeutico non può scalfire aspetti del corpo estratti della psiche, che costituiscono la parte che le Moire hanno insegnato a ciascun individuo, con atto irreversibile. Ciononostante, uomini di tutti i tempi ed eroi di ogni mitologia non hanno potuto fare a meno di contrastare l’assegnazione delle Moire strappando concessioni limitate sospensione momentanea, conseguendo risultati parziali e temporanei.
Forse la parte più essenziale che le Moira assegno ciascun uomo consistere l’impulso da versare ogni determinazione predefinita, ogni assegnazione predestinata. Contrastare la pressione del destino è destino ci accomuna tutti gli uomini. L’esito non è certo certamente non assoluto ma le figure del mito abitano l’impellenza di contrastare le Moire e perfino di imbrogliare le di scendere a patti con loro di negoziare spazi di libertà anche se l’esito finale dovesse essere inesorabile, anche se deve essere scritto fin dai primordi del misterioso libro del destino”
Come descritto in precedenza restiamo liberi di contrastare il destino e di cercare di fornirgli un senso, una realtà totalmente personali attraverso le scelte che effettuiamo. Non dobbiamo vivere, però, il rapporto con il destino come una lotta, ne usciremmo fiaccati e più facilmente sconfitti, ma dovremmo pian piano avvicinarlo, attraverso le nostre scelte, a quello che è il nostro desiderio più profondo, alle nostre radici dell’esistenza a quello che davvero sentiamo di essere.
Proviamo a immaginare due persone che possiedano il medesimo tema natale, come ad esempio i gemelli omozigoti, che per di più hanno in comune il medesimo corredo cromosomico, ebbene entrambi avranno, molto probabilmente, vite diverse seppure “tecnicamente” segnate dal medesimo destino/cielo. Se facciamo nostra l’identificazione geni=tema di nascita, possiamo analogamente sposare le affermazioni di Widmann:
“L’idea di un destino genico non concede nulla al fatalismo: dal retroterra familiare l’individuo eredità un inconscio quadro cromosomico (genotipo), ma questo può trovare vie assai diverse per manifestarsi (fenotipo). Così, un identico assetto genetico può ordinare un chirurgo o un macellaio, uno psichiatra di valore o una donna demente in preda al delirio.
Un operaio di vent’anni, in un’epoca in cui le rapine erano accadimenti eccezionali puniti con particolare severità, rapinò il cassiere di una fabbrica lo uccise. Fu condannato ai lavori forzati in ergastolo; tenne una condotta irreprensibile dopo 15 anni fu graziato. Tornato alla vita sociale, divenne pastore e si sposò.
Lo studio della genealogia condotto da Szondi rintracciò nella sua famiglia sia alcuni criminali, sia un certo numero di pastori. (1975, p.49)
Nell’inconscio familiare di questa persona erano sepolte entrambe le immagini, quella dell’ omicida è quella del pastore; il suo destino genico era portatore di entrambe le possibilità di esistenza e probabilmente anche di altre. La forma concreta che esse presero, la loro realizzazione pratica, non era scritta nei geni, ma dipendeva da funzioni più evolute e più sofisticate.
Nelle strutture arcaiche dell’organismo sono impresse le immagini che compongono un genetico destino-costrizione, ma nelle strutture superiori dell’uomo giacciono potenzialità di critica di controllo che assegnano l’uomo la possibilità di un destino-scelta. L’uomo è realtà complessa e unitaria, che non si risolve per intero nel suo quadro genico, ma che possiede funzione di responsabilità di scelta con cui dare forma d’espressione a quel quadro genico. La specificità umana consiste nel poter utilizzare i geni per strutturare il proprio piano di vita.” Pag. 88
L’interpretazione del tema natale deve partire da questi assunti.
Con le Moire abbiamo scoperto che esiste l’ineluttabilità del destino, ma nello stesso abbiamo ampi margini di manovra all’interno del perimetro da loro disegnato. Le Moire non obbediscono ad alcuna legge divina, ma devono compiere il loro dovere. Il fato di ogni individuo si realizza attraverso il tempo offerto dalle Moire. C’è un qualcosa di teleologico, finalistico, sembra che comunque il destino dell’uomo segua un progetto ben definito.
“Il fato introduce un rimando forte al progetto esistenziale, al piano di vita. Nel suo perseguire un disegno preordinato per vie inusitate, esso adombra l’immagine di qualcuno o qualcosa, che in qualche luogo dell’esistenza concepisce un progetto organico.
Questo luogo dell’esistenza, l’altrove in cui si struttura il fato, è sempre un aldilà.
L’habitat primordiale del fato era una dimensione iperuranica inaccessibile agli dèi; era il regno superno delle Moire, estraneo alla giurisdizione dello stesso Zeus.” Pag. 88
Eppure con l’Astrologia e l’interpretazione del tema natale cerchiamo di spiegare e offrire letture di un possibile destino di un soggetto che ci chiede aiuto o consulenza seppure quest’ultimo sia per sua natura, stando alle Moire, imperscrutabile. Comprendiamo bene come, pensando in questo modo, vi sia sempre qualcosa di mancante che ci ricordi come forse stiamo usando uno strumento, l’Astrologia, che alla fine non può leggere il destino dell’uomo. Ci sembra di essere su una nave che in alcuni momenti naviga tranquilla interpretando le maglie di un destino morbido e adattabile, in altri è, invece, in preda alla tempesta in cui nulla ha senso. In precedenza ho scritto che noi possiamo interpretare possibili destini e sue rappresentazioni, ora invece, pur restando valido quanto affermato, sembra che il concetto vacilli. Forse, anche per questo, gli antichi hanno spostato l’attenzione dalle Moire agli dèi, man mano che hanno compreso che la natura può essere in qualche modo domata dall’intelletto e che potevano quindi essere artefici della propria vita e del proprio destino. E’ necessario prestare attenzione a quest’ultima frase perché la confusione nasce proprio quando assumiamo che vita e destino siano la medesima cosa, invece non è così. La vita vissuta, reale è una delle possibili manifestazioni del destino individuale. Per mediare fra la vita e il destino si è ricorso alle divinità astrali, olimpiche, ma non solo a esse. Noi ci soffermeremo comunque su queste ultime. A tal proposito, confermando quanto appena espresso, Widmann afferma:
“L’habitat successivo del fato fu il regno dei cieli, percorso da potenze astrali, astratte e assolute, che tracciano il destino degli uomini con la precisione geometrica di orbite planetarie.
Fu habitat del fato anche un diverso regno dei cieli, non più scenario di astri impersonali, ma casa comune di divinità personificate. Non avvenne ovunque nello stesso tempo, ma il destino non rimase per sempre appannaggio di entità superiori agli dèi ed entro progressivamente nell’ambito di competenza delle divinità. Migrò così dall’iperuranio delle Moire e degli astri all’ultramondo degli dèi: talvolta fu il regno delle altezze e talvolta l’abisso degli inferi, a volte la sommità dei monti e a volte la profondità dei mari. Ovunque abitassero dèi, là si ordì il progetto fatale del destino.”
L’uomo, quindi, ascrivendo il fato alle divinità, e immaginando queste ultime come “architetti del disegno fatale cambia la concezione stessa del destino: esso sarà pure irreversibile, ma è potenzialmente passibile di modifica. Se il fato è plasmato ad ogni istante da un dio, questi ha implicitamente il potere di modificarlo” e noi d’interpretarne la forma. pag. 89
In questo percorso vediamo come le responsabilità delle costruzioni realizzate dal fato per l’uomo siano passate dall’ultramondo delle Moire, al cielo fisico delle stelle, alle regioni iperuraniche degli dèi. Non dobbiamo dimenticare che le costruzioni del fato sono la vita accaduta all’uomo, la sua storia reificata anche nella psiche e nella relazione che passa fra questa e la materia, diventano rappresentazioni destiniche. La psiche umana partecipa, ovviamente, della vita stessa, è parte del destino. Il fato si comprende solo a posteriori quando si è già compiuto, quando è diventato storia, il luogo del fato è quindi sempre un aldilà della realtà, della psiche è altrove. “La psicologia contemporanea chiama inconscio quella regione della psiche tanto estranea alla conoscenza e all’influenza dell’Io. […] <<Inconscio>> diventa un altro nome per indicare il fato”
In questo momento avviene un passaggio concettuale importante per noi astrologi si passa dall’inconscio/fato al destino.”La psicologia del profondo ascrive all’inconscio molte caratteristiche, che miti e credenze, filosofie religioni attribuirono già al destino: origine tanto primordiale da impregnare l’identità prima ancora della nascita; una potenza tanto enorme da soverchiare l’io; una realtà tanto concreta da localizzarsi matericamente nei geni e nella fisicità del corpo;”
L’inconscio è il destino e “chi ritiene di saper scrutare nell’infinito delle stelle e nei segreti del Diavolo trova il destino meno bizzarro e meno incoerente di quanto sembri. Analogamente a costoro, anche chi scruta l’abisso della mente fin nelle regioni oscure e talora diaboliche dell’inconscio trovo una spiegazione chiarificatrice e fornisce una ricostruzione plausibile degli accadimenti fatali.”
Poiché l’inconscio è il destino e il destino è anche rappresentato dalla carta natale, quest’ultimo si muove, fiorisce all’interno dei geni e dell’ambiente come spiega chiaramente Widmann: “L’Inconscio si serve dei geni del patrimonio ereditario; più che essere determinato del gene il destino sembra impiegare le risorse genetiche per i propri scopi. E così come si avvale delle caratteristiche ereditarie, l’inconscio integra anche le sollecitazioni ambientali culturali educative e sfrutta le occasioni contingenti che si presentano nel corso dell’evoluzione personale.”
Per di più la rappresentazione del destino individuale è espressione dell’inconscio o se vogliamo del destino assoluto ancora non entrato in relazione con l’io, si può affermare che la vita dell’uomo storicizzata (destino reificato) nasce dal rapporto fra Io e Inconscio, dove l’inconscio è rappresentato dal cielo di nascita.
Tra i miti degni importanti da considerare c’è quello di Er che narra della “vita del figlio di Armenio, un soldato valoroso originario della Panfilia[2], morto in battaglia. Il suo corpo raccolto e portato sul rogo, mentre, secondo l’usanza, stava per essere arso, si ridestò dal sonno mortale e raccontò quello che aveva visto nell’aldilà.
La sua anima appena uscita dal corpo si era unita a molte altre e camminando era arrivata in un luogo divino dove i giudici delle anime sedevano tra due coppie di abissi, una diretta in cielo e l’altra nelle profondità della terra. I giudici esaminavano le anime e ponevano sul petto dei giusti e sulle spalle dei malvagi la sentenza ordinando ai primi di salire al cielo e agli altri di andare sotterra. Avevano quindi ordinato a Er di ascoltare e guardare ciò che avveniva in quel luogo per poi raccontarlo.[3]
Dalle voragini intanto uscivano delle anime sporche e lacere che avevano viaggiato per 1000 anni, in cielo o sottoterra, per espiare le loro colpe. Chi in vita aveva commesso ingiustizie veniva punito con una pena 10 volte superiore al male commesso, mentre le buone azioni venivano premiate nella stessa misura.[4] Tutti i castighi inflitti erano temporanei, meno quelli riservati ai tiranni come Ardieo, despota di una città della Pamfilia che aveva ucciso il vecchio padre e il fratello maggiore e aveva compiuto molte altre nefandezze. Quando i più malvagi, come i tiranni, tentavano di uscire dalla voragine questa emetteva una sorta di muggito ed allora venivano presi, scorticati e rigettati negli Inferi.
Le anime rimaste per sette giorni in quel luogo venivano poi costrette a camminare per quattro giorni fino a quando giungevano in vista di una specie di arcobaleno dove a un capo pendeva il fuso, simbolo del destino, posato sulle ginocchia della dea Ananke (Necessità). Il fuso aveva un contrappeso formato da otto vasi concentrici rotanti disposti uno dentro l’altro. Su ogni cerchio vi era una Sirena che emetteva il suono di una sola nota che unendosi alle altre formava un’armonia[5].
Le figlie di Ananke, le tre Moire, sedevano in cerchio poco distanti dalla madre: Cloto, filava e cantava il presente, Lachesi, il passato, e Atropo, “colei che non può essere dissuasa”, il futuro[6]. Un araldo presentava le anime disposte in fila a Lachesi e dopo aver preso dalle sue ginocchia un gran numero di sorti e modelli di vita procedeva al sorteggio avvertendo che ognuno sarebbe stato responsabile della sua scelta e che nessuno sarebbe stato favorito poiché anche chi avrebbe scelto dopo il primo avrebbe avuto dei paradigmi di vita sempre più numerosi di coloro che dovevano ancora scegliere.
Er raccontava poi come le anime commettessero degli errori nello scegliere: ad esempio un’anima che era venuta dall’alto dei cieli e che era stata virtuosa solo per abitudine e che aveva vissuto in una città ben governata, per desiderio di novità aveva scelto frettolosamente la vita di un tiranno per accorgersi poi, rimproverando la sua cattiva sorte, come questa fosse carica di dolori.
Le anime provenienti dal basso invece avevano imparato dalle loro esperienze terrene e avevano scelto con maggiore giudizio. I più però sceglievano seguendo il modo in cui hanno vissuto precedentemente: per esempio Agamennone aveva scelto di vivere come un’aquila, Odisseo, stanco di rischiose avventure, aveva preferito la vita di un qualsiasi uomo tranquillo.[7]
Dopo aver compiuto la scelta ogni anima riceverà da Lachesi il daimon, il genio tutelare, che avrebbe sorvegliato che si compisse la vita prescelta; quindi l’anima doveva andare da Cloto a confermare il suo destino e infine da Atropo che lo rendeva immutabile.
Le anime poi s’incamminavano attraverso la deserta e calda pianura del Lete e, fermatesi per riposare sulle sponde del fiume Amelete, tutte, tranne Er, furono obbligate a bere l’acqua che dà l’oblio e chi non era saggio ne beveva smoderatamente.
Giunta la notte le anime stavano dormendo quando a mezzanotte un terremoto le gettò nella nuova vita assieme a Er che, svegliatosi sulla pira funebre, poté raccontare come, conservando la memoria dell’esperienza passata, si può vivere serenamente una vita giusta e saggia in questo e nell’altro mondo
Il mito, che in Platone è una forma letteraria-filosofica per teorizzare in modo verosimile ed attraente ciò che non può essere dimostrato razionalmente[10], può essere inteso come un tentativo di dimostrare la presenza contemporanea nella vita umana della libertà, del caso e della necessità come insegnano le parole della Moira Lachesi:
« Parole della vergine Lachesi, figlia di Ananke: anime, che vivete solo un giorno (ephémeroi) comincia per voi un altro periodo di generazione mortale, portatrice di morte (thanotephòron). Non vi otterrà in sorte un dàimon, ma sarete voi a scegliere il dàimon. E chi viene sorteggiato per primo scelga per primo una vita, cui sarà necessariamente congiunto. La virtù (areté) è senza padrone (adéspoton) e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il dio non è responsabile.[11]>>
Quindi il caso non assicura una scelta felice mentre determinanti potranno essere i trascorsi dell’ultima reincarnazione. Scegliere, nella visione platonica, significa infatti essere coscienti criticamente del proprio passato per non commettere più errori e avere una vita migliore.
Le Moire renderanno poi la scelta della nuova vita immodificabile: nessuna anima, infatti, una volta operata la scelta potrà cambiarla e la sua vita terrena sarà segnata dalla necessità.
Le anime si disseteranno con le acque del fiume Lete ma quelle che lo hanno fatto in maniera smodata dimenticheranno la vita precedente, mentre i filosofi, che guidati dalla ragione hanno bevuto poco o niente, manterranno il ricordo del mondo delle idee di modo che riferendosi ad esse potranno ampliare la loro conoscenza durante la nuova vita ispirata e guidata dal proprio genio tutelare.” (https://it.wikipedia.org/wiki/Mito_di_Er)
Come abbiamo letto vengono messi a disposizione moltissimi paradigmi di vita, ciascuno dei quali custodito da un daimon. Possiamo immaginare i paradigmi come le diverse carte natali, cieli di nascita, messi a disposizione degli individui. I daimon-paradigmi sono più numerosi delle anime presenti nel momento in cui la Moira Lachesi affida la scelta del proprio. L’anima è libera di scegliere una delle infinite forme/daimon/paradigma e non può incolpare la divinità per la scelta per ciò che gli è “capitato in sorte”. Il cielo di nascita diviene quindi il destino dell’anima/psiche, dell’inconscio personale.
Il mito di Er può essere ambientato nell’infinita landa dell’inconscio collettivo.
“Il bacino comune in cui Platone colloca il fondamento del cosmo e dell’individuo e dove origina il destino è il grande mare dell’inconscio collettivo. E’ il luogo psicologico della sincronicità, dove la moltiplicità dell’esistente si muove in maniera simultanea. La lettura simbolica di questo mito dice che quello è il luogo di interconnessione globale: fra dimensioni temporali (esperienze del passato e progetti di futuro) fra livelli di esistenza, fra ambiti di provenienza. […] Il mito di Er sostanzia il destino di strutture aprioristiche, presenti fin dall’inizio della dimensione delle origini è che si imprimono sia nell’ universale sia individuale” Pag. 126
I modelli di vita presenti, seppure numerosi, sono già definiti a priori, di conseguenza l’anima sceglie tra modelli di vita preesistenti, in qualche modo l’anima è indirizzata, costretta all’interno di queste forme che come abbiamo letto offrono infiniti modi di realizzazione destinica, di vita. La psiche/anima è responsabile del proprio daimon, del proprio destino, dello svolgersi del proprio tema.
“L’uomo che è incapace di scegliere liberamente la propria forma di esistenza sarà vittima di un destino ereditario o destino costrizione. Egli sarà allora nevrotico, psicopatico e psicotico. Al contrario, colui che riesce a superare la costrizione dell’ereditarietà con l’aiuto del proprio Io e dello spirito costruisce da solo il proprio destino di libertà o destino di scelta” cit. Di Szondi sta a pag. 152
L’astrologo deve evocare i possibili destini, offrire spunti di riflessione simbolica al consultante interpretando la carta natale che è la rappresentazione del nostro inconscio personale, del nostro destino. “Il significato non può essere dato, ma deve essere trovato, meglio ancora: deve essere cercato. Non esiste cioè un’esperienza che possa essere identificata con il significato della vita, ma esiste la possibilità di una costante tensione verso esperienze significative; esiste la possibilità di un’inestinguibile ricerca del senso esistenziale.”
“L’astrologia il tentativo tradizionale di leggere nelle stelle il carattere delle persone unitamente agli eventi che li attendono. Mai come a proposito di questa attività divinatoria giunge puntuale l’enunciato di Hilmann:<<Il destino è il carattere>>” di conseguenza il carattere è descritto nel tema natale. “La connessione astrologica fra carattere e destino anticipa di milleni la convinzione psicoanalitica che fattori inconsci improntino la personalità in tutti i suoi livelli, nei tratti di carattere e in comportamenti determinati per gli accadimenti esistenziali.” Pag. 160
Una cosa che noi astrologi non dobbiamo dimenticare è che: “affermare che il destino dell’uomo è scritto nell’inconscio non lo rende più intelligibile modifica radicalmente l’approccio le pratiche divinatorie. Non si tratta più di investigare l’ignoto che fuori di sè ma di esplorare l’ignoto che dentro di sè; non si ricerca più il disegno fatale in potenze esterne alla personalità, ma in forze interne ad essa” Pag. 165
È quasi da astrologo Widmann prosegue: “[…] non sono le stelle a determinare il destino dell’uomo è l’uomo a proiettare sulle costellazioni celesti contenuti delle proprie costellazioni archetipiche; gli astri non sono forze esterne che improntano l’identità, ma simboli di forze interiori che strutturano l’identità. Non sono le divinità del fato a destinare l’evoluzione dell’individuo, ma è l’individuo a proiettare sulle figure del fato eventi che lui stesso attiva”. Pag. 166
In modo ancor più chiaro viene spiegato come l’associazione simbolo zodiacale, segno solare in questo caso, e vita del soggetto entrino in relazione analogica, quando è il consultante medesimo ad aver affrontato un percorso d’integrazione leggendo il proprio destino attraverso le lenti dell’astrologia.
“Ne offre testimonianza minimale una giovane donna che rilegge in termini di autoconsapevolezza il suo essere nata sotto il segno della Bilancia. Ricostruisce di essere stata implicitamente designata dalla famiglia a fare da ago della bilancia in ogni situazione di contrasto; si dichiara frequentemente incline a bilanciare richieste contrastanti nel mondo del lavoro e tipicamente atta ad assorbire sbilanciamenti e a ripristinare equilibri nelle relazioni affettive; si riconosce simbolicamente ”una bilancia”, non per essere nata sotto un determinato segno zodiacale, ma per come la sua personalità è improntata nei tratti più distintivi e individualizzati. In questa persona l’immagine della bilancia si interfaccia con tratti personali e contenuti inconsci. In un certo senso, il segno della Bilancia è effettivamente rappresentativo del suo destino; non nel senso che la sua personalità sia stata improntata dalla posizione degli astri al momento della nascita, ma nel senso che una connessione analogica, più che astrologica, abbraccia nell’immagine della bilancia aspetti strutturanti del suo carattere della sua posizione nel mondo.
Connessioni diffuse e talvolta sconcertanti vengono in relazione immagini psichiche e sviluppo del destino. Le “immagini che ci definiscono” e che racchiudono il nucleo individuativo della persona dialogano con le immagini che popolano l’esistenza e che spesso si costellano con grande evidenza nei momenti fatali del vivere.”
Non dobbiamo dimenticare, inoltre, come ripetuto spesso nella seguente ricerca che: “La grande, originaria, archetipica causa che impronta il destino di una persona rimane imperscrutabile”, le Moire infatti lanciano le sorti in maniera casuale e l’anima-psiche le sceglie. Il caso, dunque, è l’origine archetipica che può essere reinterpretata attraverso la sincronicità. “[L’archetipica causa N.d.A.] intride il nucleo individuativo del singolo, coincide con il suo stile personale, appartiene al mistero della soggettività individuale”