L’importanza dei miti greci

Il mito, ma nel caso di noi occidentali il mito greco, riveste un’enorme importanza poiché ci conduce alla radice archetipica di noi stessi, soprattutto ci fa scoprire come numerosissime divinità vivano in noi e quindi come noi dobbiamo integrarle per cercare di realizzarci. La coscienza vive immersa in una religione politeistica che ha le radici nell’inconscio collettivo, luogo in cui gli archetipi esistono senza contenuto, ma in pura forma.

La coscienza dell’uomo, al momento della nascita, possiede l’accesso potenziale al mondo degli archetipi. È giusto ipotizzare che nella coscienza dell’uomo occidentale anche il Dna mantenga una parte di questi ricordi o anche la possibilità di accedere ai ricordi della razza, degli antenati. L’ambiente, il luogo geografico, la cultura, gli usi e i costumi in cui la coscienza vive, riempiono la forma archetipica ed è più facile, magari, che alcuni miti, nel nostro caso quelli greci, risuonino più familiari alla coscienza di quelli orientali. Certamente esiste un tratto comune in tutti i miti, di qualsiasi etnia, questo dimostra come gli archetipi siano innati e abbiano anche una base “biologica” comune alla specie umana. Dunque partendo da questo assunto faccio mie le parole di Jung quando scrive che: Io penso perciò che in generale l’energia psichica, о libido, crea l’immagine della divinità utilizzando modelli archetipici, e che l’uomo di conseguenza tributa onori divini alla forza psichica attiva in lui. Perveniamo in tal modo a una conclusione che può essere ragione di scandalo, cioè che dal punto di vista psicologico l’immagine di Dio è sì un fenomeno reale, ma anzi tutto soggettivo.  […] Per chi nella libido vede solo l’energia psichica di cui dispone la coscienza, il rapporto religioso così come noi l’abbiamo definito potrebbe apparire un ridicolo gioco con sé stessi. Si tratta però di quell’energia che appartiene all’archetipo, vale a dire all’inconscio, della quale quindi non possiamo disporre. Quello che sembra essere un “gioco con sé stessi” è tutto fuorché ridicolo; al contrario è di somma importanza. Portare un dio in sé significa molte cose: è la garanzia della felicità, della potenza, anzi perfino dell’onnipotenza, in quanto questi sono gli attributi della divinità. Portare Dio in sé significa, praticamente, essere quasi Dio stesso.”

Quindi riprendendo ancora le parole del maestro svizzero: “Non si deve pensare che i miti siano stati creati solo per spiegare processi metereologici o astronomici; essi sono invece in primo luogo manifestazioni di moti inconsci, paragonabili ai sogni. Questi moti sono causati dalla regressione della libido nell’inconscio. Il materiale che emerge alla luce è naturalmente materiale infantile[…]”

Con questa breve introduzione intendo sottolineare il fatto che i miti sono connaturati all’essere umano e una disciplina che li utilizzi per cercare di far riflettere, offrire motivi di comprensione e cambiamento è senz’altro avvantaggiata rispetto ad altre materie perché si relaziona direttamente con quei simboli, con quelle divinità in un certo senso innate nell’uomo. Inoltre l’uomo stesso scopre di essere forgiato da diverse divinità e di essere quindi lui stesso un dio. Rileggendo le storie delle divinità l’uomo le mette in relazione con gli accadimenti della propria vita, riflette, comprende e viene stimolato alla consapevolezza. In questo lavoro scoprirete come il mito solare, declinato in ambito astrologico, ma volendo anche senza di esso, abbia molto da raccontare della nostra vita.

A maggiore conferma di quanto appena affermato Hillman ci ricorda che: Quando la visione dominante che tiene assieme un periodo della cultura si incrina, la coscienza regredisce in contenitori più antichi, cercando fonti di sopravvivenza che offrano anche fonti di rinascita. I critici hanno ragione quando vedono il ‘ritorno alla Grecia’ come un regressivo desiderio di morte, come una fuga dai conflitti contemporanei nelle mitologie e nelle speculazioni di un mondo fantastico. Ma guardar indietro rende possibile andare avanti, perché il guardar indietro ravviva la fantasia dell’archetipo del fanciullo, fons et origo, il quale è sia il momento dell’inerme debolezza sia il dischiudersi futuro. ‘Rinascimento’ (rinascita) sarebbe una parola priva di significato senza l’implicita dissoluzione, la morte stessa da cui quella rinascita proviene. I critici non colgono la validità e la necessità della regressione. Essi non colgono neppure la necessità di una regressione che sia peculiarmente ‘greca’.”

Guardare indietro al mito, ma anche al nostro passato personale, ci permette di approcciare attraverso una nuova prospettiva la nostra vita e di farci sentire davvero i protagonisti dell’avventura personale. La mia idea rispetto all’uso della mitologia nell’interpretazione astrologica è analoga a quella di Rafael Lòpez-Pedraza quando, riferendosi al medesimo uso dei miti in psicologia, afferma che: “Voglio tuttavia che sia ben chiaro che non sto in alcun modo proponendo una ‘tecnica’. Lo scopo di una psicologia – per noi astrologia – basata sugli archetipi è quello di ‘guardare in trasparenza’ una situazione, in modo da favorire il movimento psichico, e non limitarsi a ridurre, la condizione del paziente – per noi astrologi consultante – alla sua controparte mitica. Dobbiamo leggere la mitologia e le opere degli studiosi per procurarci il necessario sfondo a partire dal quale riflettere e avvicinarci alle costellazioni che possono manifestarsi in psicoterapia. Durante la nostra lettura della mitologia dobbiamo essere continuamente ben consapevoli della relazione fra psicologia e mitologia – astrologia e mitologia per gli astrologi – in modo di evitare di andare fuori strada con le nostre intuizioni psicoterapeutiche o di lasciarci prendere troppo dalle analogie dei mitologemi con le situazioni dei pazienti.