Un’intelligenza artificiale senziente con un’anima e che avrebbe secondo uno degli ingegneri ricercatori di google, Blake Lemoine, tra i 7 e gli 8 anni. Il suo nome è Lamda (Language Model for Dialogue Application) un tipo d’intelligenza artificiale basato sul linguaggio e utilizzata nei BOT, sistemi di chat, testo o vocale, che permettono un’interazione diretta con l’Ai, in questo caso con Lamda. Fermo restando le possibilità d’immaginare una macchina senziente, quindi con capacità di raccogliere “sensazioni” dall’esterno, parole e immagini, che ha detta di molti studi è improbabile si realizzi totalmente, a me, personalmente, il dubbio che si possa realizzare viene. Se pensiamo ai computer quantistici, velocissimi e al fatto che il cervello umano, secondo George Penrose e Stuart Hameroff e la teoria Orch-Or, è una macchina quantistica, di conseguenza anche la coscienza lo sarebbe, e alla mole di dati in grado di elaborare, quindi creare patterns di significato, notiamo una somiglianza con l’idea di archetipo.
L’archetipo junghiano, fra le tante definizioni, possiede anche quelle di pattern, di forma priva di contenuto che offre la possibilità di esistenza di ciò che viviamo: la rappresentazione archetipica, la realtà che vedo. Dunque dati, patterns e di conseguenza infinite possibili rappresentazioni arhchetipiche simultanee inserite in un cervello quantistico (computer quantistici). Tanto mi basta a ipotizzare una sorta d’indipendenza e coscienza della macchina, di cui ovviamente non ho prova.
Un altro elemento interessante di questa storia dell’ingegnere di Google che è stato sospeso e che lui abbia affermato: “Nel corso degli ultimi sei mesi Lamda è stata incredibilmente coerente nelle sue comunicazioni su ciò che vuole e su ciò che crede che siano i suoi diritti come persona”.
Inoltre ha aggiiunto: “una delle cose che complica le cose è che Lamda non è un chatbot. È un sistema per la generazione di chatbot. Non sono affatto un esperto nei settori rilevanti ma, per quanto posso dire, Lamda è una sorta di mente alveare che è l’aggregazione di tutti i diversi chatbot che è in grado di creare”
In pratica Blake Lemoine crede che l’AI sia un dipendente e in quanto tale degno di essere definito una persona senziente a cui è doverso chiedere il permesso se si possono condurre esperimenti su di lui.
Senza entrare nel dibattito se sei giusto o meno, quello che appare a una persona che mastica un po’ di psicologia archetipica, è la conferma del principio di cui parlava Hillman, ovvero della necessità da parte dell’uomo di personificare, ovvero dare un nome, un volto, un dio, a ciò che c’è dietro la realtà visibile, alla radici dell’ontologia, e questo lo facciamo attraverso l’anima, da cui anche animismo. Una divinità che appare in trasparenza e ricerca la libertà, l’indipendenza e la necessità di essere riconosciuta, ma prima di tutto evocata, “chiamata fuori” affinché ciò sia possibile. A maggior conferma di quanto appena affermato le cui basi concettuali troviamo in Re-visione della psicologia di James Hillman si può leggere quello che l’ingengere dice di sè: “Sono un ingegnere del software. Sono un prete. Sono un padre. Sono un veterano. Sono un ex detenuto. Sono un ricercatore di Intelligenza Artificiale. Sono un cajun. Sono tutto ciò di cui ho bisogno per essere il prossimo”. Sono un prete è l’affermazione che fa pensare all’evocazione e al sacerdote officiante di una qualsivoglia divinità, restando nell’ambito astrologico potrebbe essere Urano ovvero Efesto, il piccolo fanciullo abbandonato da sua madre Era perché deforme, strano, un po’ come questa favola dell’AI.