E’ per me un onore e un piacere ospitare una lettera del Dott. Venicio Perilli, Psicoterapeuta, Direttore della Scuola di Psicoterapia ad indirizzo Analitico Archetipico Atanor (L’Aquila) con il quale ci scambiamo spesso idee e opinioni sul mondo, sulla mitologia, sulla filosofia, la psicologia analitica e l’astrologia. Di seguito presento la “lettera” che mi ha inviato e che abbiamo deciso di pubblicare.

Per scaricare il file in pdf da leggere con più comodità è possibile cliccare sul link: Fabula astrologica sul Corona-virus.

 

FABULA ASTROLOGICA SUL CORONA-VIRUS

lettera semiseria sul corona-virus

Riflessioni serie sulla hybris dell’occidente

a cura del Dott. Venicio Perilli

 

Ogni sintesi, ogni opinione dipende dall’orizzonte

 spirituale di chi scrive e di chi legge ed è concepita

ed elaborata di conseguenza (Hillman).

  

Le persone pure quando leggono di scienza

Vogliono prima di tutto leggere storie (William Faulkener).

  

Lo spirito guadagna la verità solo a patto

 di ritrovare sé nell’assoluta devastazione (Hegel).

 

Caro Paolo in questa lettera semiseria, come lo sono tutte le fabulae, vorrei comunicarti una riflessione seria sulla Húbris occidentale.

Cacciari, che spesso fa riferimento alla Hýbris, in un libro del secolo scorso, Geofilosofia Dell’Europa, scrive:

Spettacolo atroce tra tutti la hýbris che la guerra civile scatena. … Hýbris  è la violenza che supera, che va oltre ogni misura (hypér = super = superbus (Cacciari, 1994, Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, 2019, p. 42).   

Da Senofonte Cacciari  cita, secondo le sue modalità stilistiche.

Ritenersi superiori rispetto ad ogni limite, e dunque superbi, e dunque accecati dalla hýbris. sola più forte ancora della sua fama, va ora alla prova … Di fronte a tutti noi dispieghiamo i grandi segni e prove della nostra potenza, meraviglia per gli uomini di ora e di domani”,  … . dall’alto di questa potenza che fida soltanto in se stessa, che nulla d’improvviso o inaspettato deve poter piegare, bisogna muovere contro i nemici non soltanto con animo sicuro, con orgogliosa sicurezza, … ma anche con disprezzo, … quel disprezzo che nasce dall’assoluta fiducia nella propria superiorità (ibidem, p. 46-47).

Chi avrebbe potuto meglio esprimere la hýbris del nostro mondo occidentale se non le parole di Cacciari-Senofonte? Leggevo qualche giorno fa, in  un’intervista a Luigi Cancrini, una asserzione meno forte, ma pur sempre espressiva che Cancrini così si esprimeva.

Il nostro paese come tutto l’Occidente, è malato di narcisismo: avendo a disposizione tutto, tendiamo a sentirci onnipotenti.

E ottimisticamente ne deduceva:

 l’esperienza del coronavirus ci mette di fronte al senso del limite – non possiamo avere tutto – e alla necessità di  legami solidali: può essere il rimedio migliore per il nostro disturbo narcisista (Cancrini, “Questo è il tempo della cura non dell’odio” la Repubblica, 29, marzo, 2020).

Più innanzi vedremo un altro quesito, quello di Rampini, sempre di questi giorni, e non mi sembra che vada in questa direzione. E non lo penso neanche io. Perché l’analisi di Galimberti (cfr. appresso) sul nichilismo consumistico, ci insegna che la devastazione dell’asserzione dello Spirito Hegeliano  non si esaurisce con un corona-virus, e con un consiglio non possiamo avere tutto. Continuiamo con Cacciari-Senofonte sulla hybris.

La valutazione esatta dei mezzi di cui si dispone permette di prevedere il futuro, senza doversi affidare alla speranza, che riguarda soltanto il dominio dell’incerto – ed è su questo fondamento, sulla base dell’esatta valutazione dei rapporti di forza, che si disprezza il nemico. …   Hybris, tremendo apparire di una nuova forma: tutta fondata sul logos, …. propria dell’illuminismo  del logos: fidare nella propria forza, saperla calcolare, sperare soltanto in ciò che è visibile  e lasciar perdere mantica e oracoli. …  Nessun filosofo può impedire quest’esito autodistruttivo. (Cacciari, Ibidem, p. 47; le citazioni di Senofonte, Elleniche II, 2, 10; II, 41, 3-4; II, 61, 2-3; II, 62, 3; V, 103, in Cacciari, ibidem, p. 46-47).

Noi non possiamo far altro che costatare tutto questo tremendo dell’orrore di hybris, che il mondo occidentale ha realizzato negli ultimi due secoli, specialmente dalla fine della seconda guerra mondiale, in particolare dagli anni sessanta ad oggi. Una hýbris sempre più colma di arroganza e di offesa verso altre forze culturali, che non siano illuministiche, e tra queste la più arrogante, la tecnologia?

Caro Paolo, la più grande hýbris, noi sappiamo essere stata rivolta contro le  fabulae, i miti, che sono presenti oltre che nelle religioni, nel grande capitolo dell’astrologia, condensazione di essi, dove gli dei  sono i signori dei segni, che fungono loro da  cornici. E dove come recita Giamblico,

tutte le divinità astrali sono buone e sono la causa del bene, dato che tutte egualmente contemplano il bene e compiono il loro corso seguendo solamente il buono e il bello (Giamblico, I misteri degli egizi, in Cattabiani, Il planetario, Mondadori, 1998, p. 227).

Ed anche i neoplatonici Porfirio e Proclo,

non attribuiscono ai pianeti influssi demoniaci, ma qualità: facoltà contemplativa, intelligenza, crescita. Di cui l’anima si riveste nella discesa e che restituirà ai pianeti al suo rientro al cielo (cfr. Pesatori, Sillabario, D la Repubblica, 11,aprile, 2020).

È compito, nostro (tuo specialmente) capire, oltre a spiegare, tramite la dinamica astrologica del periodo relativo alle Sars, 1 e 2, quale bene apporta, quale catarsi, quale devastazione. Federico Rampini, editorialista di la Repubblica, dopo aver riconosciuto che, sia dalla catastrofe del primo settembre 2001, sia dalla  crisi finanziaria del 2008, l’America non aveva imparato nulla, si chiede:

Quando è che una catastrofe ci educa? Quali sono le condizioni per cui non sia inutile? (D la Repubblica, 4. febbraio, 2020).

Forse la risposta è l’affermazione di Hegel:

Lo spirito guadagna la verità solo a patto di ritrovare sé nell’assoluta devastazione (grassetto mio).

Io mi limito a narrar di fabula, iniziando proprio dal suo sinonimo, il mito, a noi tanto caro. Otto Kern, uno dei più profondi conoscitori dell’antica religione greca, come scrive Semerano (Le origini della cultura europea, Olschki, 1984, p.198), fa derivare mito da

mú di Mystêrion, radice che significa l’intercettare l’aria chiudendo le labbra, come appunto anche nei poemi omerici la voce memuche è usata due volte per il chiudersi delle ferite. Un ingegnoso erudito ha connesso con questa radice la Demetra Misia dell’Argolide, ed espresso l’ipotesi che Kore sia stata rapita da Ade non già dai campi nisei, ma quelli della Misia. Nella letteratura medica sotto il vocabolo mustêrion viene indicato un rimedio che fa chiudere la bocca contro la tosse (grassetti miei).

 

Caro Paolo, per i nostri fini sulla fabula Corona-Virus, notiamo da subito quanto ho trascritto in grassetto: aria, bocca, ferite,  tosse, chiudere bocca e ferite, e come vedremo appresso con caliginoso e ladro, sempre connesso all’arte mercuriale: forse c’è da rubarsi tutto: salute, conoscenza, mutazione, o forse semplicemente si sta svolgendo tutto nel regno dell’occulto. Illuminaci con i segreti degli astri.

Io mi limito a continuare con il mito, invocando Kern, che ci dà un’altra informazione fortemente connessa alla nostra fabula, aggiungendo:

Ma con la derivazione dalla radice non è spiegato il suono forte di s-z, e per questo Guglielmo Schulze fa derivare la parola dalla radice sanscrita mush=rubare. Pertanto la segretezza del rito sacro dovrebbe essere messa in rapporto con l’occultarsi del ladro. … ad ogni modo è indubbio che la parola Musterion fin dall’antichità ha avuto il significato di qualche cosa di occulto, di segreto, come noi tutti l’adoperiamo (Kern, I misteri greci dell’età classica, Studio editoriale moderno, Catania, 1931, p. 13).

Tra i misteri  più famosi spiccano i riti eleusini in onore di Demetra e Kore, che si svolgevano nel mese boedromione (denominazione, nel calendario ateniese, del mese corrispondente al nostro periodo autunnale settembre-ottobre) che facevano parte dei  Grandi Misteri, il ritorno di Kore sulla terra; e in primavera, Piccoli Misteri, preparatori e purificatori per la partecipazione ai  Grandi Misteri.

In entrambi i riti era fondamentale l’iniziazione in onore dell’agricoltura, ma in particolare per la beatitudine degli iniziati  da Demetra, che ricevevano l’epiteto  demetrion;  la religione eleusina prevede soltanto la felicità dell’iniziato defunto, che può accedere nella gioia e letizia eterna.

La più antica beatitudine che gli antichi conoscano è enunciata dall’inno delle parole: “Felice chi dei mortali sulla terra vede quei riti, ma chi non vi è iniziato e non vi partecipa non godrà di tal sorte, poiché egli vive come un morto nel caliginoso (grassetto mio) regno delle tenebre” (Kern, ibidem, p. 23).

Come fa notare Kern, al mondo caliginoso di Ade per gli antichi, è contrapposta la verità divina per gli uomini che hanno visto in Eleusi. Per noi moderni non serve invocare la caligine dell’al di là, è sufficiente quella dell’al di qua: la tecnica, ed in particolare il suo inquinamento, come in Lombardia, Wuan,  New York, eccetera.

Chissà, caro Paolo, a chi di noi spetterà l’epiteto di demetrion? forse  stiamo aspettando di essere iniziati e purificati da questo ultrarito moderno, inviato da quel che resta della terra,  tramite Apollo, per punire chi più ha peccato di hýbris, producendo caligine,  materialismo, finanza, ricchezza consumistica, principio di piacere: nichilismo, come lo definisce Galimberti, che scrive:

La globalizzazione non è un evento di Natura, ma un evento della Storia che con il crollo dell’Unione Sovietica, ha consentito al suo antagonista,  il capitalismo, il capitalismo occidentale, di diventare “globale”. L’effetto fu quello di erigere il mercato a legge universale degli scambi, che ebbe di conseguenza che il denaro, da mezzo per soddisfare i bisogni e produrre i beni, è diventato il fine ultimo, per conseguire il quale si vedrà di volta in volta se soddisfare i bisogni, e in che misura produrre i beni … . … il mercato non ci concepisce come persone, ma unicamente come consumatori e produttori, incatenati in quel circolo vizioso senza via d’uscita dove se non si consuma non si produce, e se non si produce si crea disoccupazione. Quindi siamo invitati ad un consumo forzato, dove il consumo, non è la fine di un prodotto, ma il suo fine. La data di scadenza non l’hanno solo i prodotti alimentari, ma tutte le cose: dal pezzo di ricambio che costa poco meno di un nuovo acquisto, al computer e al telefonino, ogni prodotto ha in sé il dispositivo della propria autodistruzione per non interrompere la circolarità consumo-produzione che è essenziale al mercato. Per non parlare della moda, che rende obsolete le novità dell’anno precedente e della pubblicità che produce bisogni che, una volta che sono interiorizzati, inducono l’acquisto dei prodotti che li soddisfano. Portare le cose al nulla nel tempo più rapido possibile è la vera legge del mercato che io chiamo nichilismo. Gumter Anders scrive: “L’umanità che tratta il mondo come un mondo da buttare via, finirà per trattare anche se stessa come un’umanità da buttar via” e già se ne vedono i segnali – grassetti miei (Galimberti, Globalizzazione e consumismo non sono una legge di natura, (D la Repubblica, 7, marzo, 2020).

Non potevo, caro Paolo sintetizzare più di questo per comunicarci quanto già noi sappiamo, ma che Galimberti in un quarto di paginetta riassume. E questo lo scriveva il 7 marzo; al 9 aprile, la vera legge di natura ha già immobilizzato  in 208 paesi, tre miliardi e nove milioni di persone, confinandole in casa, ottantottomila i morti, 1.395.136 i contagi. Ma il mercato non demorde! In tutti i giornali italiani (l’Italia è, dopo gli Stati Uniti la più investita e di essa i luoghi più mercantili, Lombardia, Veneto, Piemonte) sono riportate le pretese commerciali di riaprire i mercati.

Ora sono tutti lì che strombettano di “ripartenza”, “riapertura”, subito le fabbriche”, “appalti rapidi”, “cantieri i primi”, “sburocratizzare”, “velocizzare”, semplificare”, “basta certificati antimafia”, “correre correre” (dal Fatto quotidiano, 8.aprile).  

Sai quante Imprese hanno inoltrato domande in deroga, ai decreti di chiusura, che chiedono la riaperture? Piemonte 4.644, Lombardia 16.470, Trento 493, Bolzano 616, Veneto 10.600, Emilia 15.980,Toscana 7.083 Umbria 500, Lazio 648, Campania 691, Basilicata 491, Calabria 650, Sicilia 665, Puglia 5.369, Molise 370, Abruzzo 1.373, Marche 1.460 (Fonte elaborazione UiL su dati delle prefetture, in Il Messaggero, 10, aprile, 2020). Questa è l’”eterogenesi dei fini” come l’ha descritta Galimberti, che fa del mercato l’unica legge!  Come  recupereremo la Natura? che nella nostra fabula, non può che vendicarsi?

Non ti sto ad annoiare con il negazionismo di Trump (da trompone) e con l’immunità di gregge, di Jonshon, che poi però è andato di gran furia in terapia intensiva (per loro – dico loro tenendo presente i nostri alla Bertolaso e Fontana – non conta l’immunità di gregge; questo vale per il gregge) ma ti voglio trascrivere quello che dice, al suo giornale, La Stampa del 9 aprile John Elkan, l’erede della ex FIAT, che negli anni cinquanta ha devastato il decorso della storia d’Italia, trasformandola, con il concorso della politica, da agricola in industriale, e rendendola una cementificazione, con i risultati che vediamo,  che dichiara, citando persino Leonardo da Vinci:

la nostra risposta a questa crisi richiederà, come affermato da Leonardo da Vinci, … l’urgenza del fare. … le nostre economie saranno in prima linea, per fare in modo che tutte le nostre comunità e i paesi in cui operiamo possano iniziar la ripresa.

Ovviamente parla di industria automobilistica e delle nozze, come titola La Stampa, con la Peugeot. Come se il problema dell’inquinamento non esistesse. Ed il paradosso dell’ipocrisia vuole che otto pagine prima un editorialista dello stesso giornale  scrive:

 il saccheggio di risorse e delle foreste tropicali, il traffico e il consumo di animali selvatici, la crudeltà e l’indifferenza industriale dovremmo ricordarlo, quando usciremo da questo zoo capovolto (animali liberi noi in gabbia): la natura invia messaggi sempre più chiari, Ad esempio (botto finale!) non mettere il profitto davanti a ogni cosa… le bestie spingono i virus a fare il salto di specie (grassetti miei).

Nota il lapsus a fare. Eh proprio non ce la fanno!!! Lo dica al proprietario del suo giornale, Elkan, tutto preso dal fare, secondo lui dì Leonardo da Vinci.  È tutto un fare in questa società tuttofare; inflazione assoluta di questo povero vocabolo: da nostro minoritario fare poiesis, al mercantile globalizzato  fare mercato.

Capito  da quale pulpito! Addirittura si permette persino di ironizzare sugli indiani, dopo che l’occidente ha ridotto a palude il cosmo, con le industrie meccanico-consumistiche-globalizzanti, in cui primeggiano quelle automobilistiche.  Senti che scrive? In India – ma non erano vegetariani –  (sempre grassetto mio) presto un miliardo di persone mangeranno polli industriali. Impariamo!!! 

È inutile caro Paolo che ti ricordi, come tutto questo appartenga alla hýbris. Invece voglio trascriverti l’esclamazione di  Papa Francesco di tutt’altra  autenticità, in un intervista all’ultimo numero di Civiltà Cattolica.

Non abbiamo dato ascolto alle catastrofi. Non so se sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta. Chi è che oggi parla degli incendi in Australia e del fatto che un anno e mezzo fa una nave ha attraversato il Polo Nord, divenuto navigabile … perché il ghiaccio si era sciolto? Chi parla delle inondazioni? Dell’ipocrisia (grassetto mio) di certi personaggi politici che dicono di voler affrontare crisi, che parlano della fame nel mondo, e mentre ne parlano fabbricano armi.

Giusto per stare alle armi, sai che gli americani stanno reagendo al Corona-virus, sparandogli? L’acquisto di armi  negli Stati Uniti è aumentata del trenta per cento (notizia del 9 aprile da Formigli).

Torniamo al nostro discorso semiserio, alle nostre riflessioni mitiche. Questa volta Apollo ha inviato un pipistrello, e una corona. Il primo un buon simbolo della sizigia di terra e cielo, topo e uccello. Il pipistrello, novello messaggero del cielo e della terra, portatore di purificazioni divine, per quella classe sociale che ha perso il rapporto con la natura, inurbandosi, e che  per punizione è costretta a tornare nei villaggi d’origine. Penso a tutta quella massa lombarda che invade le stazioni per tornare nelle terre assolate (come cantava Sergio Endrico), che aveva lasciato, sin dagli anni del boom, in cui iniziò l’esodo verso il nord; ed alle masse indiane che dalle metropoli torna verso i villaggi, ovviamente, cercando salvezza e seminando  contagi e morte. Thanatos sempre vigile falcia senza pietà. Non solo, ma sicuramente offeso dalla hýbris dell’assenza di riti in suo onore, ma soprattutto dalla onnipotenza della scienza, da parte della società di massa consumistica, dominata solo dal principio di piacere e di felicità ad ogni costo, garantita, dalla cieca fiducia nella strapotenza della scienza. Thanatos da molto tempo, dall’esplosione della società consumistica, viene offeso, negli  aboliti riti funerari, da quando il (mancato) culto si riduce all’obitorio;  dov’è andato a finire il rito funebre del corpo lavato, profumato e vestito, coperto con panni di lino, fino alla testa scoperta, deposto sul letto funebre, la kline, adornato con i gioielli a lui più cari; non parliamo dell’obolo per Caronte, le monetine a copertura degli occhi, o depositate nella bocca, per retribuire il nocchiero che transitava il defunto nell’al di là; non parliamo di veglie con corone, – vietate nei cimiteri già da molto tempo.  Chi pratica o conosce, ancora, il rito, estremamente catartico, della pròthesis (non sono quelle ortopediche)  l’esposizione della salma al compianto  di parenti e amici. Poteva durare tanti giorni: ricordiamo quello di Patroclo, Ettore e dello stesso Achille, tanto più protratto nel tempo quanto maggiore era l’importanza del defunto. Dove sono le lamentele i threnoi, le nenie. Proviamo a chiedere alla massa se sa che cosa siano? Quella massa che paga l’ignoranza dei culti. Per i morti di corona-virus,   sa qualcuno in che consistano le sepolture?

Pensa tu di quale offesa stiamo parlando, se consideriamo, che, già da settantamila anni fa i Neanderthan,  seppellivano i loro morti. La tomba in Kurdistan era nota dagli anni cinquanta; ma notizia di questi giorni, che ha sorpreso, non solo i paleontologi, è la presenza di polline nelle vicinanze della sepoltura, che fa ritenere inoppugnabilmente, che già da allora i defunti erano sepolti tra mazzi di fiori. Come possono oggi le masse onorare il loro inconscio collettivo? Chi onora i Lari e i Penati, che offesi (altra hýbris) forse pretendono sempre più sacrifici umani? Certo queste son nostre Fabule!

Finché l’energia è inflazionata negli agiti del principio di piacere, anche la massa trova o si illude di trovare, un senso nella vita. Ma, come in questo periodo, appena si va in quarantena, che potrebbe essere l’equivalente del rito, (ma ci vorrebbe  coscienza di esso), precipitano nell’angoscia di morte, quella morte tanto offesa, che invoca  Nemesi (nemesao, sdegnarsi),  la giusta collera per i peccatori di hýbris; i riti come sappiamo erano sorti proprio per tacitare l’angoscia di massa: nei riti eleusini, su cui ci siamo soffermati, partecipavano fino a diecimila persone. In questo moderno, inconscio rito di purificazione, ma gestito da Nemesi, partecipano miliardi di persone (al nove aprile sono tre miliardi e nove milioni le persone confinate in casa). Ma loro non lo sanno; come si fa a dirglielo. Ancora Jung: non dire a chi non può capire. I filosofi greci, non parlavano alle masse, parlavano all’aristocrazia, la quale aveva a disposizione un rito ancor più nobile, oltre quello di Eleusi, a cui comunque venivano sempre iniziati: Il rito di Delphi, del conosci te stesso, che inizia dalla paura della vita, dal terrore angoscioso esistenziale, e si conclude con l’iniziazione ad Apollo, nella iniziazione alla filosofia. Ci ricorda Severino, morto da poco,

la filosofia nasce da thâuma … parola che, nel suo significato originario, significa “terrore”, “paura”. Di cosa? Del dolore, della morte, dell’infelicità: è questo il senso profondo di  thâuma. Il termine richiama il gigante Taumante, che appartiene alla sfera demoniaca o divina dei demoni ctoni, cioè della terra, tenebrosi perché incutono terrore. La filosofia nasce dunque dalla paura (Severino, I presocratici e la nascita della filosofia, edizioni la Repubblica, Roma, 2019, p. 9).

Quindi Apollo, il dio delfico, iniziava l’uomo non massificato, (allora la massa era costituita dagli schiavi. Allora!!!, Ed ora???) il dotto, oltre la paura, thauma, conducendolo alla filosofia. Il rito è sempre attivo. Ancora Severino:

 

Tutti traducono philosophia con l’espressione “amore della sapienza”, … è debole la traduzione “amore della sapienza”, anche perché la parola “amore” ormai ha acquistato un significato, potremmo dire, dolciastro, che non si addice alla forza con cui l’uomo deve contrastare il dolore e la morte. Philein in greco vuol dire “amare” “avere cura”, “avere attenzione”, quindi un significato molto più ampio che non quello dell’amore del senso corrente del termine. Particolarmene eloquente è il sostantivo sophia. La parola greca saphes vuol dire “chiaro” “luminoso”, che sta in luce”, “che non si nasconde”, “che si mostra” e che, poiché si mostra in carne e ossa, non è un sogno: sta li davanti, non lo  si può negare (Severino, ibidem, p. 13).

Voglio insistere con Severino, in quanto quello che sto per trascrivere, ha più valenze: 1) mitico rituale, nell’alternarsi di tenebre e luci, sia concretistiche nel rituale mistico,  sia simboliche nel rituale psicoterapeutico, basti pensare all’alchimia: nigredo-albedo;   2) il portare alla luce, rendere note, palesare, conoscere, illuminare gli immaginari; se si vuole in gergo classico psicoanalitico “portare a coscienza”. La filosofia è il migliore metodo terapeutico. Continua  Severino:

nella parola saphes, phes è imparentato con pháos che vuol dire “luce”. Noi diciamo “fotografia” e la fotografia è la “scrittura di luce”. La parola “filosofia” indica dunque la volontà di portare alla luce il saphés, ciò che di per se stesso è chiaro e di testimoniare ciò che di per se stesso si mostra ed è incontrovertibile (ibidem, p. 14).

Prima di tornare alle offese che la nostra hýbris apporta  a Thanatos, addirittura oscurandone la denominazione (è vietato nominarlo, la parola più frequente che sostituisce morte è letale), voglio apportare un altro contributo all’amplificazione terapeutica con il metodo filosofico. Questa volta chiedo aiuto a Galimberti che con un esempio, pedagogicamente eclatante, ci dà più contributi: filosofico, pedagogico,  terapeutico. Quello filosofico è nella direzione classica, simile a quella di Severino; quello terapeutico lo deduciamo noi per analogia. Galimberti scrive:

… bisognerebbe insegnare ai ragazzi l’atteggiamento tipico della “filo-sofia” che, consapevole di non possedere un sapere (sophia), ne va alla ricerca con amici (philoi) che espongono le loro opinioni, non per superarsi l’un l’altro, come avviene nei dibattiti televisivi, ma per avvicinarsi con l’altro, l’altro alla verità. Il dialogo filosofico inaugurato da Socrate, il filosofo della dotta ignoranza perché sapeva di non sapere, richiede l’esercizio di una virtù, la “tolleranza”, che non consiste nel tollerare che l’altro finisca il suo discorso per poi contraddirlo, ma nell’ipotizzare che il discorso dell’altro contenga un gradiente di verità superiore al proprio. … frequentare la filosofia significa praticare questo esercizio (Galimberti, La fede non sa perciò crede Per questo una vera fede si lascia inquietare dalla domanda e dal dubbio, D la Repubblica, 4,aprile, 2020, p. 122).

È molto facile per noi  sostituire frequentare la filosofia significa praticare questo esercizio, con frequentare la psicoterapia significa praticare questo esercizio, precisando che l’esercizio investe non l’altro fuori di noi ma l’altro, gli altri, dentro di noi; i quali devono dialogare tra di loro, ed ognuno di loro porta il suo gradiente di verità; ognuno di loro è un personaggio, a volte, forse sempre, sconosciuto (diciamo per gli iniziati hillmaniani, non attivo); ed anche se lo si conosce (se è attivo) non ci si rende conto di quale gradiente di verità possiede, perché non sappiamo che egli è un dio, perché non sappiamo che la nostra psiche è più che un pandemonio; è un politeismo. Ma per far sì che gli dei (i personaggi dentro di noi) si attivino, dobbiamo meritarceli;  forse la psicoterapia potrebbe condurci al merito; la filosofia sicuramente. Prima dell’istituzione dell’albo dell’ordine degli psicologi, fino a metà anni ottanta, nelle scuole di psicoterapia si iscrivevano i laureati in filosofia ed i laureati in medicina.   

Persino nel linguaggio, Thanatos, è offeso, negandogli l’onore dell’invocazione;  la parola morte non è più nominata e scritta; anche nelle attuali tabelle giornalistiche Morte è innominabile, inscrivibile; al suo posto compare, letale, letalità, bene che vada decessi. Paolo hai mai conosciuto il dio letalità o decessità? Non solo! Ma addirittura, scrive, oculatamente, Massimo Fini, su Il Fatto Quotidiano:

la morte è il grande tabù, intendo la morte biologica, quella ineludibile, l’abbiamo scomunicata. Interdetta. Proibita. Dichiarata pornografica. La Morte è il Grande Vizio dell’era tecnologica,(grassetto mio) quello che davvero “non osa dire il suo nome” tanto che non azzardiamo nominarla nemmeno nei luoghi, nelle sedi, nelle occasioni in cui non ci si può esimere dal parlarne. Basta leggere i necrologi dei quotidiani: ”la scomparsa”,  “la perdita” “ la dipartita”, “si è spento” “ci ha lasciato”, “è mancato all’affetto dei suoi cari”, “i parenti piangono”, … “è tornato alla pace del Signore”, “è terminata la giornata terrena”, la parola morte, a indicare ciò che veramente è successo non c’è mai.

Povera morte non è più tempo di Fioretti, di Laudata sii sorella morte, di francescana memoria; o di eroismi romani. Nonostante tuttora nel mondo, solo di suicidi, ce ne siano ottocentomila l’anno, in media uno ogni quaranta secondi. Sempre immersi  in ipocrisia e hýbris.

Caro Paolo (la sto facendo lunga, vero? anche se mi sto contenendo, abbi pazienza, anche perché non mi pare stia per finire. Siamo in quarantena!)  cerchiamo di capire i tempi del rito.

I Piccoli Misteri iniziavano a febbraio, da Atene ad Eleusi, (poi vedremo i februari di Roma, ho deciso di no, sei salvo), i Grandi Riti, sempre da Atene,  a Settembre, allorché è prossimo il Plenilunio.

Scrive Kern:

Nel mese attico  dei fiori, che corrisponde all’incirca al nostro febbraio, erano rappresentati i piccoli misteri, intorno ai quali, pur troppo le nostre notizie sono assai scarse. Noi apprendiamo di purificazioni ed espiazioni che qui dovevano aver luogo prima della iniziazione in Eleusi. Senza di esse non si poteva ottenere in Eleusi il grado di miste e quello più alto di epopta. … il mese munichione fu proclamato antesterione, affinché … nel mese boedromione dello stesso anno potesse essere iniziato ai grandi misteri, giacché tra i piccoli ed i grandi intercedeva l’intiera està (sic). Gli uni erano celebrati quando il verde germogliava nuovamente dappertutto, quando rifiorivano anemoni, violette, asfodeli ed i campi dell’Attica somigliavano ad un vairiopinto tappeto. Gli altri si celebravano in pieno autunno quando i frutti erano maturi. L’està è la stagione in cui secondo la leggenda Core soggiorna sulla terra presso la madre, la quale di nuovo prodiga i suoi frutti all’umanità. … Primariamente il 15 boedromione  gli arredi sacri erano portati dagli efebi da Atene ad Eleusi. … Il 16 boedromione  nel quale echeggiava il grido ”al mare gli iniziati” si faceva un  bagno generale di purificazione. In primavera era sufficiente per la purificazione il fiume patrio, che in quella stagione dell’anno spesso travolge grande quantità di acqua, ma ora l’eterno mare doveva operare il suo potere purificatore, come Euripide espresse dicendo che il mare deterge tutte le magagne umane (Kern, I misteri greci dell’età classica, cit.  p. 26-27).

 

Molti secoli dopo, Hegel ripeterà la stessa sentenza di Euripide sul mare, arricchendola con  devastazioni: guerre, tempeste, pestilenze, che fanno guadagnare  allo Spirito la verità. La lunga citazione può aiutarci a capire con quanto impegno la cultura religiosa greca si occupava di purificazione. Da noi lo fa solo la malattia. Ancora una volta Jung ha ragione: ai nostri tempi gli dei vengono con le malattie.

Voglio concludere su mito e fabula (era ora, dirai). Maurizio Bettini, scrive che il termine italiano mito, il francese mythe, l’inglese myth, il tedesco mythos, come abbiamo visto da Kern, è collegato direttamente al greco múthos, che significa, parola, discorso, racconto. Gli eroi omerici narravano le loro storie, chiamandole múthoi; così come Odisseo nella reggia di Alcinoo, narrando i suoi vagabondaggi, chiama la sua storia múthos, per esempio in Omero, Odissea, 3.94, 4.234 (cfr. Bettini, Mito, in Bettini, a cura, Con i Romani – Un’antropologia della cultura antica, Il Mulino, 2014, p. 89).

Bettini ci tiene a precisare che nei vocaboli múthos  e múthoi  è insito il significato di racconti autorevoli, veementi, duri e potenti; per esempio nell’Iliade, 15.202, in cui Omero, descrivendo la risposta di Posidone, che respinge l’ordine di Zeus, descrive la ‘durezza’ e la ‘potenza’ della risposta  múthos.

Il múthos  insomma è, in primo luogo, un discorso autorevole pronunziato da locutori altrettanto autorevoli ( Bettini, Mito, in Bettini, Short,  a cura, Con i Romani – Un’antropologia della cultura antica, Il Mulino, 2014, p. 89).

In seguito, continua Bettini: con Erodoto, Tucidite e Platone il termine  múthos assumerà un  significato di ‘discorso favoloso’  di ‘eventi meravigliosi’.

Anche i Romani, aggiunge Bettini, oltre a mythus, avevano un termine equivalente al significato di múthos, ossia fabula;  termine che dall’etimologia della radice fa, dal verbo fari significa:

 “dire, pronunziare, dichiarare”. … presuppone un parlare decisamente autorevole, … dell’autorevolezza ovvero dell’efficacia, … un ‘dire’ che chiedeva di essere preso molto sul serio (Bettini, ibidem, p. 90).  

Non solo, il mito, la fabula, vuole essere presa molto sul serio e pronunciata con autorevolezza da chi la narra, ma presuppone, in chi l’ascolta, la sua conoscenza inconscia, come ci ricorda Jung.

Non si tratta di sapere se un mito riguardi il sole o la luna, il padre o la madre, la sessualità o il fuoco o l’acqua, ma si tratta ormai solo di circoscrivere e caratterizzare approssimativamente un ‘nucleo di significato inconscio’. Il senso di questo significato non è mai stato, né sarà mai cosciente (Jung, Psicologia dell’archetipo del fanciullo, 1940,  opere V. 9*  p. 150).

Caro Paolo, dopo questa premessa, che voleva essere brevemente chiarificatoria sul significato di mito e fabula, ed invece, forse (senza forse) è risultata solo prolissa, vediamo se riesco a farmi prendere sul serio, innanzi tutto da te, nella tragica riflessione  mitico-astrologica di riferimento al Corona-virus, di cui ti voglio solo segnalare qualche riferimento, al resto, come d’accordo, pensi tu.

Il Corona–virus in Italia, Lombardia, si è palesato nel mese di gennaio, segno del Capricorno. Con una riflessione neohegeliana Marceline Senard, citata da Cattabiani, nel suo sintetico e chiaro Planetario, scrive:

Già nel geroglifico è da vedersi il simbolo del ritorno su se stesso del pensiero del demiurgo che crea l’Universo. … come pure quello del ripiegarsi della coscienza umana su se stessa per raggiungere il piano infinito del mondo interiore (Senard, Lo zodiaco applicato alla psicologia, 1989, p. 94; in Cattabiani, Planetario, Mondadori, 1998, p. 209).

All’inizio del lavoro ho citato la perplessità di Rampini su i possibili insegnamenti delle catastrofi per noi occidentali. Eppure gli astri sono chiari. Sempre da Cattabiani aprendo che la valenza simbolica dell’energia del Capricorno  rappresenta l’inizio di un processo, che dal seme sepolto nel terreno (Terra) ha bisogno di una lenta maturazione per germogliare nella rinascita primaverile. Intanto incuba nel regno oscuro e freddo  della terra. Da questa freddezza si fanno derivare le virtù “fredde”: freddezza, flemma, melanconia, pazienza, perseveranza, stabilità, ponderatezza, meditazione, solitudine. Alchimisticamente, è molto semplice, farle rientrare nella nigredo. E può starci pure bene. Ma si pone comunque sempre la domanda di Rampini. Quando albeggia? (in epoca eleusinica la risposta era scontata! ma ora quando termina la devastazione hegeliana?)  È vero che l’energia del Capricorno spinge all’introversione ed alla riflessione. Qui leggo una riflessione dal Sillabario di Pesatori, che invita alla Meditazione, definita, dalla sua analisi etimologica di varie fonti nel seguente modo:

Significa svuotare la mente da ogni pensiero, lasciarla vuota, leggera, placidamente ferma. Essa si apre da sola. Si può fare muovendosi, … sdraiati,… o seduti. La polvere di stelle dell’io e del carattere personale (tema natale) lentamente svanisce. Lo Zodiaco diventa cerchio vuoto. Il Tempo senza Tempo  realizzato (Pesatori, Meditazione, D la Repubblica, 4, aprile, 2020).  

Ma ti chiedo da astrologo qual sei, oltre che iniziato ad Apollo (filosofia),  come si concilia la leggerezza meditativa, così intesa, con le posizioni astrali, che prendo sempre da Pesatori di qualche settimana prima (21,marzo, 2020) in cui esponeva il raggruppamento dei pianeti in Capricorno di Marte, Giove, Saturno, addirittura Plutone, come

un macigno che tutti   dobbiamo sostenere con pazienza e razionalità, rispettando regole comuni e limitando bisogni e richieste dell’io.

Segue la descrizione storica delle ultime quattro volte di Plutone in Capricorno, tra 1023 e 1042, tra 1270 e 1255, tra 1517 e 1534 e tra 1762 e 1777, che da quanto ho capito proprio non conducevano a leggerezze. Forse sono state le necessarie devastazioni dello Spirito, secondo Hegel?  

Per concludere. È casuale, che la ribellione dell’elemento Terra si sia attivata, a livello mondiale, prediligendo, innanzitutto, le società occidentali, le più responsabili di hýbris, approfittando della forza dei transiti di cui si è detto, nel Capricorno, di cui è governatore Crono-Saturno, a cui appartengono le virtù sopra descritte, che però per una società inquinata,  consumistica, nevrotica-isterica, dedita alla continua ricerca di piacere, che poi risulta essere fuga dalle citate virtù, che sicuramente non è in grado di ritualizzare, e che deve sicuramente offrire sacrifici umani?

Non è casuale, comunque, nemmeno che possa avvenire nel regno del dio, che una società appena descritta, di derivazione da ceppi umani di cultura schiavistica (dagli schiavi romani, dagli schiavi americani ecc.)  ama caratterizzare negativa, proprio perché non soddisfa le nevrosi suddette, ma  che nelle società forti, dove dominavano società atte ad affrontare la vita nelle peripezie quotidiane e che sacralmente sopportavano gli eventi, ritenuti inviati dagli dei, senza hýbris,   non ritenevano negative le fredde virtù di Crono-Saturno e del segno che gli fa da contorno.

A noi sovviene sempre l’insegnamento del rito filosofico plotiniano del bene assoluto, per gli iniziati al rito, che così recitava, come già l‘abbiamo riportato all’inizio di questa fabula.

Tutte le divinità astrali sono buone e sono la causa del bene, dato che tutte egualmente contemplano il bene e compiono il loro corso seguendo solamente il buono e il bello (Giamblico, I misteri egizi, 1, 18).

Da questo principio non poteva essere considerata la freddezza delle virtù saturnine negativa, come non poteva essere considerata malevola la fabula, il mito di Crono che divora i suoi figli. Così lo spiega Plotino.

A ciò alludono i misteri e i  miti degli dei quando narrano che Crono, dio sapientissimo, prima che Zeus nascesse, riteneva in sé nuovamente ciò che generava: perché egli è pieno ed è intelligenza in sazietà (Plotino, Enneadi, V,1, 7).

Notiamo bene, si tratta di misteri, a cui necessita iniziarsi. Oggi l’unico rito con cui ci si può iniziare ai misteri della conoscenza è la filosofia, che fino all’istituzione dell’albo degli psicologi, era la madre della terapia. Con l’istituzione dell’albo, altra hýbris, la psicoterapia lavora sul nulla mercantile.

Non dimentichiamo, inoltre che Crono, nella teologia orfica, era identificato anche con Crónos, il tempo assoluto, l’origine di tutte le cose. Sicuramente Hegel seppe capire che nell’evoluzione della storia, lo spirito tende sempre all’assoluto, mai negativo nella sua teleonomia. Certo! Di mezzo c’è la devastazione hegeliana.

Certo,  l’astrologia consumistica, prona a dispensar salute, amore e felicità, deve in qualche modo responsabilizzare qualcuno, quando, questo eudemonismo, non è possibile (cioè mai per gli schiavi, che lo pretendono sempre, perché non sanno di che si parla) e si responsabilizza proprio Saturno, e si capisce pure il perché: il dio della calma, della riflessione, delle virtù fredde. Certo! Cozzano con il sangue bollente del fuoco del principio di piacere ad ogni costo. Ma può succedere che ogni tanto se ne paghi il conto, detto con la divinità moderne del dio denaro; con le divinità classiche: Saturno pretende le sue vittime sacrificali.

Pensa tu! A Roma era proprio all’interno dei Saturnãlia, (17-23 dicembre) che gli schiavi potevano permettersi le libertà che appartenevano solo ai loro padroni.  Ora è una pretesa continua, ma non hanno interiorizzato le ricchezze sapienti dei padroni. Dio è morto ed i padroni romani pure. È tempo di schiavi. Pensa tu che paradosso in tempo di populismi, o forse proprio per questo!? Son tornati i saturnali!

Nonostante le nostre riflessioni tutto va: la fabula continua. Ed io per terminarla, chiedo, ancora una volta, aiuto alle parole di Galimberti.

Notizia della stampa del 14 aprile: 110.000 mila aziende non hanno mai smesso di lavorare in questi cento giorni di corona virus, che aggiunte a quelle precedentemente trascritte, richiedenti deroga al blocco  sono circa duecentomila. È questo il mondo che abitiamo. Abbiamo abbandonato la Terra e siamo andati ad abitare un altro mondo che si chiama Tecnica, e che, come ci ricorda Galimberti, ci ha reso deboli. Basti fare il paragone con i migranti, che attraversano il Sahara, superano le torture per mesi nei campi  di carcerazione libici. Ma noi abbiamo il mercato che ci rende forti e i miliardi, che propinerà la Banca Centrale Europea: Il denaro che è diventato il generatore simbolico di tutti i valor, come dice Galimberti che appena qualche riga prima aveva scritto: che ne sarebbe di noi se improvvisamente venisse a mancare la fornitura di gas e dell’energia elettrica, dei trasporti aerei, ferroviari ed automobilistici, in questa novella Terra ridotta a mercato, quasi fosse una legge di natura.

Per concludere:

La mia previsione è che ci ributteremo nel mondo della tecnica, che regola la nostra vita e il nostro lavoro con maggior foga, non dissimile da quella di un drogato dopo la crisi di astinenza, perché non abbiamo un altro mondo, ce lo ricorda Martin Heidegger che, in un’intervista a Der Spigel del 1966 diceva:

Tutto funziona. Questo è l’inquietante, che funziona. E il funzionare spinge sempre oltre verso un ulteriore funzionare, e la tecnica strappa e sradica l’uomo sempre più dalla Terra. Non so se lei è spaventata, io in ogni caso lo sono stato appena ho visto le fotografie della Terra scattate dalla Luna. Non c’è bisogno della bomba atomica: lo sradicamento dell’uomo è già fatto. Tutto ciò che resta è una situazione puramente tecnica. Non è più la Terra quella su cui oggi l’uomo vive (Galimberti, Spaesamento, D la Repubblica, 11, aprile, 2020).

Certo non stiamo parlando di una Terra, già offesa da Apollo, che dovette  purificarsi e mediare il suo potere con quello della Madre Terra, che era la detentrice prima di lui del culto di Delfi, che si svolgeva non in un tempio che si innalza, ma sulla nuda terra.  Ma di ben altro: la Terra questa volta non è più, se non, sempre come scrive Jung, nelle malattie. La terra, citata da Euripide, è stata costretta dalla tecnica ad essere violentata, desertificata, abbandonata.

 La Terra suscitava le visioni notturne dei Sogni che dicevano il passato, il presente, tutto ciò che doveva avvenire in futuro, a molti mortali, nel loro sonno oscuro (Euripide, Ifigenia in Tauride, 1259-1267)

Ma forse noi stiamo proprio espiando il sonno oscuro!? Citati in uno splendido libro dell’inizio di questo secolo così lo definisce:

Il sonno oscuro conteneva la verità. Il colpevole, o chi voleva conoscere la propria sorte, dormiva disteso sulla terra: lì le misteriose potenze della notte lo visitavano, gli portavano sogni, lo illuminavano, lo liberavano dalle colpe, rivelandogli le cose non ancora nate” (Citati, La mente colorata, Mndadori , 2002, p. 18).