In un’intervista al Dott. Luigi Aurigemma, notissimo psicoanalista junghiano autore del libro il segno zodiacale dello Scorpione, condotta dal Dott. Luciano Amato Fargnoli e riportata nel suo lavoro: “Cenni sulla questione storico-psicologica della <<Rinascita dell’astrologia>>” pubblicato nel “Giornale Storico di Psicologia Dinamica, Voll. II 1978, fascicolo 3”, leggiamo con quanta saggezza il Dott. Aurigemma avesse rielaborato i concetti astrologici che dovrebbero essere, a mio avviso, punti di riferimento per praticare una sana Astrologia.
Domanda: “Lei parla di « linguaggio astrologico » (p. 4). In che modo ritiene che detto linguaggio possa inserirsi nel nostro canone culturale? “
Risposta: “Nel suo complesso il corpus astrologico costituisce, a mio giudizio, il più straordinario e il più raffinato capitale di osservazioni sulla psiche che si sia venuto raccogliendo nel corso dei millenni. Non v’è altra tipologia ocaratterologia che, a confronto, non appaia per lo meno parziale, e molte volte superficiale. Le determinazioni essenziali di una psiche individuale, le profondità diverse e i tempi diversi di evoluzione delle strutture comportamentali, la varietà infinita delle correlazioni, delle compensazioni, delle esclusioni reciproche, il gioco delle emergenze alla coscienza o delle rimozioni nell’inconscio, e così via: nel corpus astrologico si possono ritenere depositate osservazioni innumerevoli, individuali ma anche collettive e anonime, sulla natura, superiore ed inferiore, dell’uomo ; sul suo destino cioè, che proprio queste osservazioni, come presa di coscienza, permettono di capire meglio e quindi di superare.
E’ evidente che se, come a me pare, le cose stanno cosi, il corpus astrologico è un fatto di cultura psico-logica d’importanza grandissima. Ed è evidente che se oggi, superando le censure imposte dalla scienza del XIX secolo, ci accade di accorgercene, è nostro
compito proporre l’inserimento in quello che Lei chiama « il nostro canone culturale » di un simile illuminante capitale di conoscenze. E come? In primo luogo riconoscendogli lo statuto di linguaggio autentico, di modo di espressione storicamente formatosi e definitosi, e dandoci la pena, da storici, di rintracciare le strade della sua elaborazione e di tradurlo se necessario in forme linguistiche per noi più abituali. Questo sforzo di traduzione però a mio avviso non dovrebbe andare oltre i limiti della semplificazione utile e anzi indispensabile in una prima presa di contatto. Perché al postutto siamo proprio sicuri che, alla lunga, la nostra cultura ci perderebbe aprendosi alla comprensione diretta di un simile linguaggio, cosi poetico, allusivo, analogico, immaginifico? Forse, nel canone culturale di domani se non proprio di oggi, c’è spazio per l’integrazione della forma di linguaggio propria all’astrologia -come del resto di altre -, vicine a quella realtà inconscia che la pratica analitica comincia a sondare, e a liberare.“