L’astrologia deve permettere a ciascuno di noi di trovare un proprio linguaggio, un proprio senso, una propria cosmologia così come spiega Sonu Shamdasani nello scambio con James Hillman né “Il lamento dei morti”

“[…] Jung non voleva che gli altri diventassero junghiani. Non si aspettava che il suo apparato scientifico – perché lui lo considerava tale – desse significato alla vita delle persone. Ai suoi occhi l’intera impresa consisteva nell’aiutare gli individui a ritrovare il proprio linguaggio, a sviluppare la propria cosmologia.”

La parola cosmo ha a che fare con l’ordine, l’armonia, la bellezza, ciò che è bello per me può essere non bello per un’altra persona. La cosmesi è una qualità riconducibile ad Afrodite, Venere. L’astrologia deve, parafrasando Shamdasani, ricondurci alla bellezza, all’armonia, a Venere.

L’astrologo allora si chiede: come posso fare questo? Nella seconda parte di questo stralcio c’è la risposta: parlando in maniera semplice, senza complessità, paroloni, tecnicismi, inventandosi “la qualunque”, sizigia, dodecatemoria, ascensione retta, sestili, trigoni se non sono richiesti o riportati direttamente dal linguaggio del consultante. Bisogna riutilizzare le sue parole, il suo vocabolario perché lui è sintonizzato su quello.

E, lo dice lui stesso, nella pratica terapeutica evitava di usare i concetti. Se arriva un paziente che parla di spiriti, lui parla di spiriti. Per me è una cosa molto seria, ed è confermata dai resoconti sul suo lavoro che ho trovato in lettere e diari: lo scopo era aiutare gli individui ad articolare il proprio mondo linguistico.”