“Più dolce sarebbe la morte se il mio sguardo avesse come ultimo orizzonte il tuo volto, e se così fosse… mille volte vorrei nascere per mille volte ancor morire.” W. Shakespeare, Amleto.

Quando guardiamo l’orizzonte restiamo attoniti nel notare tutto ciò che troviamo di fronte a noi. Se siamo in una città, per strada e abbiamo dei palazzi che ci bloccano lo sguardo anche noi, in qualche modo, ci sentiamo schiacciati, soffocati. Quando, invece, non abbiamo ostacoli davanti a noi o siamo in un punto più in alto rispetto ai palazzi di una città, l’orizzonte ci appare nuovamente. Per non sentirci soffocati possiamo immaginare di doverci innalzare oltre il quotidiano, staccarci dalla frenetica routine e cercare l’orizzonte infinito. C’è chi, invece, non vive l’angoscia dell’orizzonte nascosto, chi nella città immerso nel via vai quotidiano neppure si accorge della sua presenza, neanche ci pensa, magari gli va bene così, ha bisogno di quel tipo di orizzonte, più vicino, più sicuro, non che spinga l’immaginazione così lontano. Perché di questo si tratta, secondo me, quando guardiamo all’orizzonte immaginiamo quello che c’è oltre, come oltre le colonne d’Ercole, che l’eroe aveva innalzato mentre si recava per compiere la fatica: il furto dei buoi di Gerione. Queste gesta sono in relazione simbolica con il Segno dei Gemelli, governato da Mercurio/Ermes, il messaggero degli dèi, il viaggiatore, la divinità che ha a che fare con l’inconscio e con la morte, lo psicopompo che conduce le anime nel regno dei morti, ovvero l’essenza senza corpo dell’uomo. Forse nell’orizzonte cerchiamo la nostra essenza, vicino o lontano che sia, in città, al di sopra dei palazzi, sulla cima di una montagna, in pianura. Nel momento in cui guardiamo all’orizzonte, guardiamo avanti, al futuro e non al passato.

Eppure sappiamo, pur non vedendolo, che dietro di noi c’è un altro orizzonte. La nostra vista non copre a 360° il perimetro; quando mettiamo a fuoco, ci fissiamo su qualcosa, reifichiamo il momento e perdiamo il resto. Come l’archetipo nel momento in cui si costella ci permette di guardare a una sua immagine, parziale pezzo del puzzle del tutto, analogamente facciamo con l’orizzonte: cogliamo una parte, non l’insieme. Ma se ci giriamo su noi stessi, abbiamo la possibilità di cogliere sempre nuovi orizzonti, sono attorno a noi, siamo noi che possiamo ri-orientarci e scoprire che l’orizzonte non è uno, ma soprattutto che siamo noi a definirlo, sceglierlo.

Una divinità romana, Giano, aveva la possibilità di guardare in contemporanea l’intero orizzonte. Raffigurato con due teste attaccate per il collo, una opposta all’altra, rappresentava anche lo scorrere del tempo tra passato e futuro, lo spazio infinito. Giano era una divinità che esisteva “prima che mare, terre e cieli figurassero il mondo[1], inoltre non è mai stata assimilata ad altre divinità ellenistiche, il che la rende ancor più importante. Giano (Ianus) era il dio dei passaggi, delle porte, dal latino ianua. Portava con sè il bastone del viandante e una chiave che rappresentavano il suo controllo su chi o cosa entra e chi o cosa esce, un po’ possiamo accostarlo a Ermes che tra le sue caratteristiche vegliava gli incroci, gli scambi. Giano si poneva come divinità garante del passaggio fra le diverse stagioni, il nome del mese di gennaio proviene proprio da lui, il cambio di anno, il mese successivo al solstizio d’inverno, quando le giornate di luce cominciano ad essere più lunghe e abbiamo la possibilità di guardare per più tempo l’orizzonte, di meditare sul futuro e sul passato, come faceva Giano che conosceva il tempo ormai trascorso e quello che sarebbe giunto, il futuro. Nel famoso quadro di Caspar David Friedrich, dell’uomo che guarda all’orizzonte con il mare in tempesta, simbolo del movimento dello Strum und Drung, scorgiamo lo streben che ogni giorno dobbiamo mettere in campo per andare incontro al futuro, in direzione di una delle facce di Giano.

In alcune rappresentazioni l’Arcano dei Tarocchi, l’Eremita, tiene, nella mano sinistra un bastone, nella destra una lanterna. Quest’ultima serve a far luce nell’oscurità, a cercare la strada davanti a sè, a mostrare le porte da aprire come accade per Giano. Inoltre, la rappresentazione del personaggio dell’Arcano è un vecchio con la lunga barba e le spalle curve, emblema del tempo che scorre, di Crono/Saturno, infatti, il mese di gennaio – che prende il nome da Giano – è governato dal pianeta Saturno. Il tempo mangia i giorni, come Saturno mangia i propri figli, così come scorrono davanti agli occhi di Giano.  Spazio è tempo per Jung non consistono in nulla “Sono i contenitori vuoti in cui l’Io organizza l’accadere psichico ed entro cui orienta se stesso.”[2] Il nostro orizzonte è una costruzione dell’Io che serve ad orientarci nel mondo, così come aveva fatto Ercole, quando aveva edificato le colonne, alla ricerca dei buoi. Nei Tarocchi di Marsiglia troviamo, invece, nella mano destra dell’Eremita, una clessidra che indica lo scorrere del tempo, anche in questo modo il riferimento a Giano e all’orizzonte appare evidente.

L’orizzonte di un tema natale, di un oroscopo, è la linea che delimita il basso dall’alto, ciò che sta sopra, da ciò che sta sotto, ciò che è visibile da ciò che è invisibile. Abbiamo il punto a Oriente, l’Ascendente, che rappresenta la nascita del soggetto, il suo “oroscopo”, la zona del cielo in cui sorgono i pianeti durante il movimento delle sfere celesti. A Occidente abbiamo il Discendente, appunto, la zona in cui il sole si dirige per tramontare, dove inizia la sua catabasi. Quando guardiamo all’orizzonte non pensiamo quasi mai a ciò che sta sotto, ma sempre a ciò che è visibile e sta sopra. I settori zodiacali che si trovano sopra l’orizzonte sono in relazione con la presa di coscienza da parte dell’uomo che egli vive nella società ed esiste nella relazione con l’Altro: il Discendente, simbolicamente, rappresenta l’altro da noi. Lì tramonta il nostro Io solare per cedere lo spazio e il tempo a l’Io dell’altro, immergersi nell’oscurità, mettere da parte la parte egoica e sperare che le parole di Sartre non siano veritiere: l’enfer c’est l’autre. Guardare l’orizzonte, stando all’astrologia, è guardare alla possibilità espressiva che noi possiamo raggiungere solo quando entriamo in relazione con l’altro e la società: è l’orizzonte degli eventi che si dipana nel rapporto con l’alterità.

L’orizzonte vede uniti cielo e terra, Urano e Gea, prima che Crono evirasse il padre, creando poi il tempo cronologico. Con il taglio, liberatorio da un verso, ha inibito e reso meno visibile, il tempo cairologico, quello delle opportunità. Nell’orizzonte, nell’abbracio di Urano e Gea, l’uomo vede le opportunità future, proietta le aspettative in modo “cairologico”, forse rifiutando le proprie ombre, le difficoltà, quello che non ama di se stesso, rinchiudendo i titani deformi nel Tartaro, dimenticando che sono sempre figli suoi, parti di sè.

L’orizzonte, come si è letto, può rappresentare una soglia verso cui ci si muove: la soglia del futuro che sempre ci sfugge quando diventa presente; la soglia della nascita, il momento in cui veniamo alla luce, l’Ascendente; la soglia che conduce nelle profondità, il Discendente. Attraverso la poesia, però, possiamo cercare di raggiungere la soglia, aspirare al futuro, nascere e immergerci nell’interiorità, nell’inconscio.

L’etimo del termine poesia deriva dal greco poiesis (ποίησις). Poiesis per i greci significa “fare”, “inventare”, “comporre”, “costruire” in modo unico, come fa l’artigiano con il proprio lavoro, creare opere irripetibili.

  1. Heidegger avvicina il fare poesia al concetto di movimento che porta la trasformazione di qualcosa in qualcosa d’altro, un momento di oltrepassamento di una soglia, di passaggio. Franco Volpi parlando di Heidegger e più in generale della fenomenologiaricorda che quella:

aristotelica contempla infatti i tre fondamentali movimenti scoprenti della vita: póiesis, práxis, theoría, e le tre disposizioni corrispondenti: téchne, phrónesis e sophía.[3]

Attraverso l’astrologia, l’interpretazione del tema natale, il suo racconto ci troviamo in presenza di un momento di poiesis, di poesia, di realizzazione di qualcosa di unico, irripetibile che avvicina il consultante, ma anche l’astrologo alla soglia della conoscenza di altre parti di sè, li porta verso l’orizzonte di nuove conoscenze. Per raggiungere la poiesis c’è, però, bisogno della padronanza della tecnica (téchne). Attraverso la tecnica astrologica possiamo attivare la poiesis, costruire opere d’arte differenti che possono essere utili o meno al consultante a seconda delle corde che toccano, delle sue aspettative. Il mandala astrologico diviene il testo, i caratteri della poesia che va decifrata e rinarrata, appare come uno strumento per immergersi nell’inconscio. Come scrive M-L. von Franz a proposito dell’utilizzo dei mandala:

Questi tentativi, per quanto assurdi possano sembrarci oggi, erano diretti a risolvere un problema ancora irrisolto, cioè il fatto che l’inconscio sembra in realtà contenere una sorta di “conoscenza” che non è identica alla coscienza dell’Io[4].

Possiamo immaginare che l’uomo quando guarda all’orizzonte sia alla ricerca di una nuova conoscenza, di una conoscenza assoluta che si disveli nell’unus mundus, una conoscenza che sia in relazione con ciò che può accadere e non è ancora accaduto, con ciò che c’è ma ancora non si vede, il futuro.

La von Franz evidenzia con più chiarezza la connessione fra mandala e astrologia:

A quei modelli dell’universo in cui i problemi del tempo e della sincronia sono stati riuniti, da tempo immemorabile, appartengono soprattutto gli oroscopi, e soprattutto l’oroscopo di transito, conosciuto fin dai tempi più antichi. Attraverso di essi si è cercato di indagare la qualità di un determinato momento temporale e i possibili eventi in esso contenuti.[5]

Osservando il cielo, l’orizzonte, i Segni che ascendono, che raggiungono lo Zenit e poi tramontano abbiamo modo di vivere sei paia di porte (ianua) diverse. I Segni zodiacali sorgono ad Oriente, lì c’è una faccia di Giano che guarda al futuro, al punto posto ad Occidente c’è l’altra faccia di Giano che guarda al passato. Se sorge l’Ariete tramonta la Bilancia, se sorge il Toro, tramonta lo Scorpione e così via, tutti e dodici i Segni attraversano le porte di Giano. Indossando le lenti dell’Astrologia abbiamo la possibilità di guardare nel moto giornaliero del sole dodici orizzonti diversi, scanditi appunto dai Segni zodiacali. Ognuno di noi è nato con un orizzonte specifico, le porte di Giano erano definite. Io sono nato con l’Ascendente Bilancia (l’Oriente), la porta che guarda al futuro, cercherò l’equilibrio nella mia vita, il Discendente (l’Occidente) è in Ariete, mi lascio un passato di combattimenti e di azione nella mia vita alla ricerca dell’equilibrio. Già soltanto conoscendo i due Segni che delimitano l’orizzonte posso costruire una storia, metterli in relazione, così come ho esposto nel breve esempio, creando una suggestione, cercando un momento sincronicistico.

  1. Jung affermava che esiste una relazione di complementarità fra coscienza e inconscio, l’asse dell’orizzonte, Ascendente – Discendente, affinché le due parti siano in equilibrio e la coscienza sia direzionata, indirizzata in modo produttivo ed equilibrato rendendosi permeabile all’inconscio e ai suoi contenuti che sono gli archetipi è necessaria una funzione psichica denominata: funzione trascendente.

Questa funzione si chiama trascendente perché rende possibile passare organicamente da un atteggiamento all’altro, vale a dire senza perdita dell’inconscio.”[6]

La funzione trascendente permette di mediare fra contenuti coscienza e inconscio.  Cosa c’entra l’interpretazione del tema natale con la funzione trascedente?

Se pensiamo che il tema natale possa rappresentare una possibile forma descrittiva dei nostri contenuti, della nostra vita e la nostra vita si compone di coscienza, attività di cui pensiamo di avere il controllo, e d’inconscio, energie che a volte desiderano venire alla luce, emergere ed essere soddisfatte, allora si può anche parlare della funzione trascendente come mediatrice e opportunità di miglioramento della nostra vita. Allo stesso modo se pensiamo che il tema natale sia solo un strumento linguistico, un escamotage per soddisfare quanto appena esposto, il discorso non cambia, comunque abbiamo bisogno della funzione trascendente.

In entrambi i casi l’interpretazione del tema natale lavora sulla suggestione, il tema natale è solo e soltanto una suggestione. A proposito della suggestione Jung scrive:

[…] si dimentica completamente che una suggestione per la quale non esista alcuna predisposizione interiore non viene mai accolta о che, se in seguito a particolare insistenza viene accolta, essa torna a svanire subito. Una suggestione accolta durevolmente corrisponde sempre a una forte predisposizione psicologica, che la suggestione ha semplicemente fatto scattare.” [7]

 

Quando una suggestione diventa durevole vuole dire che la sincronicità si è attivata, è stato trovato un senso fra l’avvenimento esterno, nel nostro caso il racconto dell’astrologo, e la nostra interiorità, ma nulla sarebbe potuto accadere se non ci fosse stata una forte predisposizione psicologica. Vuol dire che la narrazione astrologica quando è accolta dal cliente, così come descritto, non è più una semplice suggestione, ma qualcosa di più, è qualcosa che già apparteneva archetipicamente al soggetto.

 

 

[1] Ferro, L., Monteleone, M., Miti romani. Il racconto., Torino, Einaudi, 2014, pag. 7

[2] Widmann, C., Gli Arcani della vita, Roma, Edizioni Magi, 2018, pag. 183

[3] Volpi, F., ACTA PHILOSOPHICA, vol. 11 (2002), fasc. 2- PAGG. 291-313

[4] Von Franz, M-L., Nombre et Temps, La fontaine de Pierre, 2012, pag. 184

[5] Ibidem

[6] Jung, C.G.,, La dinamica dell’inconscio, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pag. 88

[7] Ivi, pag. 91

 

Giornale Storico del Centro Studi di PSicologia e LETTERATURA. Vol. 32 – Aprile 2021