Come Hillman stesso ha affermato non si è mai interessato direttamente di Astrologia, ma il mito elemento importante nella struttura astrologica ha avuto un peso notevole. In numerosi suoi lavori cita il mondo astrologico, il tema natale, i pianeti/miti facendo notare come le immagini per la Psiche, la fantasia siano importanti. Ad esempio nel solo libro “Re-visione della psicologia” troviamo frammenti che riportano in maniera diretta e indiretta alcuni concetti. Al lettore il compito di coglierne il senso dal punto di vista astrologico, ho inserito delle brevi note di commento per ciascuno. Il seguente lavoro non è completo, cito soltanto i passi in cui si parla dell’Astrologia o del cosmo in generale, in molti altri si possono trarre indicazioni sul significato di Mercurio, Venere, Marte, Giove e così via. Tempo permettendo raccoglierò anche queste citazioni.
“Il più vasto sfondo su cui va collocata l’opera di Mersenne è il pensiero rinascimentale del quindicesimo secolo, che si era diffuso servendosi in parte di immagini, restituite a nuova vita, di potenze personificate. Astrologia, alchimia e medicina, le allegorie della pittura e della poesia, la letteratura latina e l’ermetismo greco, orfismo e neoplatonismo — ognuno di questi campi mostrava il mondo della natura e della psiche in termini personificati. Mentre i secoli precedenti avevano di solito confinato la loro folla di immagini personificate alle Scritture, ai Santi e alle Virtù e ai Vizi, il Rinascimento ritornò, per le sue immagini, alla tradizione « classica » e quindi anche pagana e politeistica. L’animismo rinascimentale portava al pluralismo, e questo rappresentava una minaccia per l’universale armonia cristiana, perché quando l’anima interna e il mondo esterno si riflettono l’un l’altra come anime e sostanze dotate di vita, e quando le immagini di queste anime e sostanze sono pagane, allora le familiari figure del cristianesimo si riducono a uno solo tra i molti sistemi possibili.” Pag. 32
La personificazione del mondo della natura attraverso l’astrologia, ma non solo.
“Ci sono state in filosofia confutazioni di Locke, dell’associazionismo, del meccanicismo, dell’anima vuota. Ma non ci sono mai stati dei metodi così efficaci come l’analisi del profondo per eliminare empiricamente la condizione di anima porosa, che è la premessa psichica dell’idea della lavagna pulita. In diretta contrapposizione alla tabula rasa è la mistica dell’anima oggi così diffusa nella nostra società. C’è stato un improvviso ritrovamento dell’anima e con essa della prospettiva psicologica verso ogni cosa: astrologia, allucinazioni psichedeliche, religioni orientali e vibrazioni eteree, fino alla medicina, al cibo e allo sterco. E’ impossibile metter ordine nella massa confusa dei contenuti della parola « anima » così come la si usa oggi, fino a che non elaboreremo da capo la nostra idea di anima, il che significa, in sostanza, elaborare una psicologia adeguata che si basi sulla metafora dell’anima. Ciò a sua volta esige una disciplina di chiusura dei vasi, per dare così inizio a un contenimento psichico ove la psiche possa separare gli elementi e far coagulare le sue fantasie di se stessa producendo intuizioni psicologiche.” Pag. 222
L’astrologia come coagulato delle fantasie da parte della Psiche affinché anche dall’Astrologia nascano intuizioni psicologiche.
“Il luogo dell’immaginazione poteva essere il cielo notturno degli astronomi o degli astrologi rinascimentali, oppure i continenti geografici degli esploratori. Poteva anche essere la gigantesca costruzione mitologica dei mondi di Dante, i complicati fornelli e recipienti dei laboratori degli alchimisti, il teatro della memoria di Giulio Camillo, oppure il passato immaginale dell’antichità greca e romana. L’immaginazione deve disporre di spazio per uno svolgimento differenziato. Questa insondabile profondità d’anima o sterminata caverna di immagini, come la chiamò Agostino, o « oscura fossa », secondo le parole di Hegel, deve avere un contenitore. Anche noi oggi, se vogliamo restituire l’immaginazione al suo pieno significato, abbiamo bisogno d’una specie di enorme stanza che funzioni da suo «realistico » contenitore.” Pag. 335
L’immaginazione può essere “contenuta” in diverse discipline, può riempire con i suoi contenuti arti diverse, tra queste c’è anche l’Astrologia.
“Poiché la nostra sostanza psichica è composta d’immagini, fare immagini è una via regia per fare anima. La produzione della sostanza dell’anima richiede il sogno, il fantasticare, l’immaginare. Vivere psicologicamente significa immaginare le cose; essere in contatto con l’anima significa vivere in un rapporto sensuoso con la fantasia. Essere nell’anima significa avere esperienza della fantasia in ogni realtà e della fondamentale realtà della fantasia. Le immagini della fantasia, che sono la sostanza e i valori dell’anima, sono strutturate dagli archetipi. Essi « dirigono tutta l’attività della fantasia lungo i suoi sentieri prestabiliti » dice Jung. Questi sentieri sono mitologici; o piuttosto, vediamo che la fantasia sfocia in particolari motivi (mitologemi) e in particolari costellazioni di persone impegnate in azioni (mitemi)” Pag. 64
I sentieri mitologici sono i possibili racconti dell’astrologia, della lotta, degli amori, delle vite delle divinità.
“Studiare il complesso o esaminare la psicodinamica e l’anamnesi solo in termini personali non è sufficiente, perché l’altra metà della patologia appartiene agli Dei. Le patologie sono insieme fatti e fantasie, somatiche e psichiche, personali e impersonali. Questa (visione della patologia implica una visione della terapia come quella che si trova nel Rinascimento in Paracelso: « … Il medico deve aver conoscenza dell’altra metà dell’uomo, quella metà della sua natura che è legata alla filosofìa astronomica; in caso contrario egli non potrà essere veramente il medico dell’uomo, perché il Cielo detiene nella sua sfera la metà di tutti i corpi e di tutte le malattie. Che specie di medico è quello che non sa niente di cosmografia? ». « Cosmografia » si riferisce qui al regno immaginale, alle potenze archetipiche che portano il nome dei pianeti e ai miti rappresentati dalle costellazioni celesti. Trascurare questa «metà», cioè la componente immaginale o psichica, il Dio nella malattia, è venire meno a ciò che è umano. Per occuparsi pienamente delle cose umane, bisogna dedicare la metà dei propri pensieri a ciò che non è umano. I « mali » risiedono anche negli archetipi e sono parte di essi. Se gli Dei ci raggiungono attraverso le afflizioni, allora la patologizzazione li rende immanenti, aprendo loro la psiche, ed è quindi un modo per passare dalla teologia trascendentale alla psicologia immanente.
Perché l’immanenza è solo una dottrina fino al momento in cui queste potenze dominanti non mi bloccano coi sintomi, e io devo riconoscere che nei miei disturbi ci sono realmente delle forze che non so controllare e che tuttavia vogliono qualcosa da me e intendono fare qualcosa di me.” Pag. 189
Il medico, colui il quale cura deve avere le nozioni astrologiche, deve conoscere il cielo.
“Gli archetipi sono le strutture scheletriche della psiche le cui ossa sono però mutevoli costellazioni di luce: scintille, onde, moti. Essi sono princìpi di incertezza. Il fatto che non possano essere affrontati direttamente porta a definirai, come Jung ha sempre ripetuto, « inconoscibili in se stessi ». Ma la loro inconoscibilità dipende unicamente dal metodo col quale vorremmo « conoscerli ». Non abbiamo nessuna conoscenza chiara e distinta di ciò che sono in sé e per sé, nel senso cartesiano di certezza; però li conosciamo indirettamente, metaforicamente, miticamente. Incontriamo la realtà archetipica attraverso la prospettiva offerta dai miti, poiché « lo scolorire nell’incertezza appartiene alla natura stessa del mito ». Noi parliamo degli archetipi come Platone parlava dei miti: « Questo o alcunché di simile è vero », e « io non mi ostinerò a sostenerlo », perché ciò che uno dice « non venga racchiuso in una rigida corazza ». La coscienza mitica non ha bisogno di un «come se». Fintanto che le idee non sono fissate in una unicità di significato, non abbiamo bisogno di aprirle a forza con lo strumento del «come se». Vaihinger dopo tutto deriva da Kant ed esprime una reazione al suo spirito monoteistico categorico. Il « come se » è un atto filosofico necessario per riconoscere il carattere metaforico di tutte le certezze presenti in ciò che vediamo, diciamo e crediamo. Ma se cominciamo già dentro la coscienza mitica, allora non abbiamo bisogno del prefisso. Esso è implicito in tutte le parti, sempre. Se i miti sono le narrazioni tradizionali dell’interazione tra gli Dei e gli umani, se sono una cronaca in forma drammatica « delle imprese dei daimones », allora per trovare gli Dei nella nostra vita concreta dobbiamo entrare nei miti, giacché è lì che essi stanno. « Entrare nei miti » significa riconoscere la nostra esistenza concreta come una serie di metafore, di attuazioni del mito. L’iniziazione in questa via passa attraverso i daimones, il « piccolo popolo » dei complessi di cui abbiamo parlato nel primo capitolo. Questa prospettiva multipla trova espressione negli Dei politeistici, i quali sono tutti imparentati tra loro, e i cui regni si mescolano e si penetrano reciprocamente. Nella raffinata psicologia della mitologia orfica e neoplatonica rinascimentale, la duplicità e triplicità di ciascuna immagine e di ciascun tema era un punto fermo di tutta la comprensione mitica. Perciò la domanda che discerne, quella che mantiene consapevole la coscienza nella confusione e nella profusione, è l’eterno « chi? » al quale non risponde mai un unico archetipo o un unico Dio, ma sempre un archetipo o Dio nella sua particolare costellazione con altri archetipi o Dei. Queste costellazioni sono precisamente ciò che è descritto dai mitologemi: esse sono descrizioni non di Dei, ma di configurazioni, di interazioni, di Dei nelle loro complessità. Gli Dei tolti dai miti sono astrazioni frutto di una coscienza monoteistica che immagina Dei e archetipi come unità monolitiche. Ma gli Dei sono rapporti, si sottintendono sempre l’un l’altro; soltanto quando è concepito dalla coscienza monoteistica, un Dio o un archetipo appare unico e solo. Si parla allora dell’archetipo della madre, oppure, ad esempio, di Dioniso; ma l’archetipo della madre non esiste fenomenologicamente senza un consorte, un figlio o una figlia, e inoltre una collocazione e un insieme di attributi, e Dioniso appare o con un seguito o con una moglie, oppure con Ermes o con Zeus o con i Titani, nonché con tutti gli specifici tratti che lo contraddistinguono. Presentando tutto questo, i miti offrono la molteplicità di significati inerente alla nostra vita, mentre teologia e scienza cercano l’unicità del significato. Forse è per questo che la mitologia è la modalità del parlare religione nella coscienza politeistica, mentre la coscienza monoteistica scrive teologia. Il mito rammenta sempre alla coscienza l’ambiguità dei significati e la molteplicità delle persone presenti in ogni momento in ogni evento. A dispetto delle loro vivide descrizioni di azioni e di particolari, i miti non si lasciano tradurre in applicazioni pratiche. Essi non sono allegoria di psicologia applicata, soluzioni per problemi personali. Così li vedeva il vecchio errore moralistico, ora diventato errore terapeutico, che ci dice quali devono essere il passo o l’azione successivi, a che punto l’eroe ha sbagliato e ha dovuto pagarne le conseguenze, quasi che una siffatta guida pratica fosse ciò che significa « vivere il proprio mito ». Vivere il proprio mito non significa semplicemente vivere un solo mito. Significa vivere il mito; significa vivere mitico. Come io sono molte persone, così io attuo parti di vari miti. Poiché tutti i miti sono avvolti l’uno nell’altro, non se ne può estrarre nessuna parte e dichiarare: « Ecco il mio mito ». Ricordiamolo: il mitico è una prospettiva, non un programma; voler fare un uso pratico del mito trattiene nel modello dell’io eroico, a imparare come attuare correttamente le sue imprese.” Pag. 271
In queste parole è spiegato benissimo come i miti siano intrecciati, come un racconto non sia univoco ma entri in relazione con altri e si modifichi sulla pelle del soggetto e del suo vissuto, questo dovrebbe fare l’astrologo. Gli stessi transiti astrologici, la tecnica con la quale più persone chiedono le pre-visioni, altro non sono che racconti in divenire che s’inseriscono in un tessuto, il tema natale, pre-esistente.